Quante volte per giustificarci durante l’ora di ginnastica a scuola abbiamo usato la scusa dell’indisposizione invece di dire chiaramente che avevamo le mestruazioni? E perché per tanto tempo —al di là di oggettivi dolori o difficoltà nel fare sport— abbiamo creduto che fare ginnastica se mestruate fosse sconveniente?
Tante, tantissime. O almeno, per noi è stato così.
Corpi che sanguinano è un progetto di ricerca condotto da Elisa Virgili insieme a Codici Ricerca e Intervento che parte proprio da queste domande per indagare più a fondo il legame tra le mestruazioni e le ore di Scienze Motorie a scuola.
Da una serie di interviste e focus group con studenti e insegnanti è nato un poster informativo, che Elisa si propone di portare negli spogliatoi delle palestre scolastiche, insieme a momenti di incontro e di discussione per provare a immaginare lo sport partendo dai corpi e non viceversa.
Nella newsletter di oggi ci siamo fatte raccontare la sua esperienza di indagine e di ricerca e il risultato nato da questi momenti di condivisione!
Un dettaglio del poster del progetto Corpi che sanguinano illustrato da MG Posani
Per un femminismo dal menarca alla menopausa e ritorno
di Elisa Virgili
Da un po’ di tempo a questa parte —anche se in realtà credo sia una questione sentita da sempre— si parla di femminismo intergenerazionale. Un approccio al femminismo che comprende da un lato la grande difficoltà di trovare punti e spazi in comune con donne e ragazze di una generazione diversa dalla nostra (io al momento sto proprio nel mezzo) perché si hanno modi, tempi e priorità diverse sia politiche che personali (per quanto si possano separare le due questioni); dall’altro, il desiderio di trovare possibili alleanze e di tessere genealogie, di capire cos’è già stato fatto da chi ci ha precedute e capire come trasmetterlo alle ragazze che cominciano a scoprire i loro corpi nel privato e nel pubblico.
Il progetto di ricerca Corpi che sanguinano, che ho portato avanti in collaborazione con Codici Ricerca e Intervento, mi ha permesso di riflettere nuovamente su questa questione, o meglio, di acquisire una nuova prospettiva, perché forse per la prima volta mi sono resa conto di stare dall’altra parte. Se fino a qualche tempo fa mi trovavo a discutere con donne più grandi di me di separatismo e di cosa significhi queer, questa ricerca mi ha permesso di entrare in contatto con ragazze che parlano in modo disinvolto di fluidità di genere, sessualità e mestruazioni.
Mentre intervistavo le ragazze cercavo di mantenere un'espressione neutra (presunta oggettività della ricercatrice, sic!) quando in realtà sorridevo pensando che molti cambiamenti sono avvenuti e sono stati assimilati, e che forse esiste un punto di contatto tra le diverse generazioni.
Quando una ragazza durante un’intervista mi ha raccontato che, durante la sua candidatura a rappresentante d’istituto, ha proposto di mettere un distributore di assorbenti —possibilmente gratuiti— a scuola, ho visto nettamente che quel punto di contatto è proprio il corpo, la sua gestione tra pubblico e privato. Che le mestruazioni possono essere uno dei fili rossi nella storia dei femminismi. La proposta non è stata accolta dal preside, quindi il collettivo di cui la ragazza fa parte ha organizzato un distributore autogestito, una scatola di cartone in cui chi può lascia gli assorbenti per chiunque ne abbia bisogno. L’esperimento è durato qualche mese, ma le pressioni per istituirlo ufficialmente non si sono fermate.
Questa scatola di assorbenti può fare da perno per aprire diverse questioni, ma prima di tutto ci offre la possibilità di riflettere sulla necessità di guardare alla scuola come un luogo fatto di studenti che sono corpi, corpi sessuati con tutte le loro necessità, bisogni e desideri.
Il progetto Corpi che sanguinano si concentra nello specifico sulla relazione tra le mestruazioni e l’ora di Scienze motorie, su come le ragazze si sentono durante questa lezione quando hanno le mestruazioni, se e come ne parlano tra di loro e con i propri insegnanti e come questi ultimi reagiscono. Attraverso interviste a ragazze, insegnanti e focus group misti, ho cercato di capire a che punto siamo con la decostruzione dei tabù che circondano l’argomento e più in generale i corpi delle donne, e con la conoscenza che abbiamo di questi corpi.
Mi sembra che lo sport, e in particolare l’educazione allo sport che si fa nelle scuole durante le ore di Scienze Motorie, sia anche un momento di scoperta del proprio corpo, un corpo che si trasforma e di cui spesso si parla poco.
Dalle interviste —ma anche da ricerche con campioni molto più ampi del mio— emerge infatti che la maggior parte della conoscenza che le ragazze hanno delle mestruazioni deriva dalla famiglia o dalle amiche. Il ruolo della scuola nella divulgazione e nell’informazioni sulle mestruazioni viene descritto come inesistente, insufficiente o inadeguato. Se e quando se ne parla, se ne parla solamente con una prospettiva biologica, mentre quello che chiedono le ragazze, ma anche i ragazzi, è di avere un programma di educazione sessuale e affettiva in cui possano dialogare apertamente di tutto ciò che riguarda i loro corpi e le emozioni che si intrecciano con essi. Sottolineo anche i ragazzi perché un aspetto che per me risulta interessante è prima di tutto la significativa diminuzione della percezione che le mestruazioni siano “cose da donne” e la maggior disinvoltura delle ragazze a parlarne davanti ai compagni maschi, e viceversa della curiosità e disponibilità di questi ultimi. Questo non significa affatto che non esistano le immancabili battutine da parte dei ragazzi o che le ragazze non mettano in pratica più alcuna strategia di nascondimento rispetto alle mestruazioni (ne ho scritto in modo più approfondito qui), ma significa che probabilmente è proprio la mancanza di conoscenza e di dialogo a creare questi comportamenti.
La palestra allora mi sembra anche un buon posto in cui provare a combinare linguaggi diversi: corpi e parole. È un luogo in cui si può partire da come ci si sente e provare a spiegarlo a parole alle proprie compagne o all’insegnante, e proprio iniziando dal non nascondere le mestruazioni dietro strani giri di parole (sì, si usano ancora parenti che vengono dall’estero o richiami al colore rosso o ci si giustifica all’insegnante con generica “indisposizione”) si può provare a cambiare l’impostazione classica delle lezioni grazie al presupposto che non tutti i corpi sono uguali. Può essere un momento in cui riflettere sul fatto che lo sport, costruito su un presunto corpo neutro, in realtà è pensato su un corpo maschile , su un mondo che sembra paritario con le sue categorie nettamente divise ma che invece è un campo molto stretto a cui i corpi femminili e non binari si devono adattare. Si può cominciare a rovesciare la prospettiva che vede le ore di Scienze Motorie come poco compatibili con le mestruazioni (e quindi escludenti per molte ragazze) e pensarle invece come un momento che può aiutare il corpo a stare meglio in una prospettiva di benessere psicofisico. E soprattutto si può cominciare a pensare alla ginnastica come un momento in cui la diversità e la soggettività di tutti sia accolta, abbracciata e celebrata, come occasione di scoperta del proprio corpo attraverso quello degli altri. Perché se è vero che ogni classe porta a lezione necessità diverse, tutte chiedono a gran voce alleanze con chi ha le mestruazioni già da tempo, anche quando non c’erano le coppette.
Elisa Virgili è ricercatrice nel campo della Filosofa Politica e degli Studi di Genere. Si è occupata della relazione tra genere e sport in diverse pubblicazioni e convegni, ma anche in assemblee, palestre popolari e spogliatoi. Cerca di non tener troppo separate la teoria e la pratica allenandosi come pugile.
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