Quando abbiamo chiamato Giulia e Mara di Doyenne per preparare questa newsletter, ci siamo rese conto di quanti punti in comune ci fossero tra il loro progetto e il nostro. Questo brand, che lavora sull’inclusività attraverso lo skatebording, è nato a partire da una ricerca personale: trovare delle persone con cui condividere una passione e provare a migliorare quello spazietto di mondo in cui si vive attraverso buone pratiche e condivisione. Da lì, Doyenne si è ingrandito, passando attraverso eventi, collezioni di moda, progetti curatoriali, senza mai però perdere il suo valore comunitario. Scegliendo di reinvestire parte dei guadagni in donazioni benefiche oppure optando per materiali ecosostenibili anche quando la decisione era decisamente “anti economica”.
Ci occupiamo di ambiti diversi (come differenti sono le nostre competenze), ma ci siamo sentite vicine a loro mentre le ascoltavamo parlare. Abbiamo riconosciuto quel desiderio di trovare un posto tutto per sé, in cui darsi delle regole di convivenza e in cui mettere al centro i propri valori.
Come avrete ormai capito, oggi nella newsletter si parla di skateboard, donne, attivismo e molto altro. Buona lettura!
© Doyenne Skateboards
Unire il punk all’energia femminile
Intervista a Mara e Giulia di Doyenne Skateboards
«Doyenne è una parola francese che indica la donna più rispettata e più autorevole in un determinato ambiente». Dal 2017 Doyenne è anche il nome di un brand di abbigliamento e accessori inclusivi per skater, fondato a Glasgow da tre ragazze italiane. «Tutto è iniziato a quando io ho iniziato a skateare, a 23 anni. — ci racconta Mara — è abbastanza tardi per questo sport, ma prima non avevo mai avuto il coraggio di farlo: sembrava una cosa che le donne semplicemente non fanno. Mi sono comprata una tavola usata su un sito e mi sono buttata, ho iniziato a skateare a modo mio».
Insieme a Giulia e Dalila (che ora non fa più parte del progetto), Mara è una delle fondatrici di Doyenne, un marchio nato per avvicinare e includere nello skateboarding chiunque abbia voglia di farlo, indipendentemente dal suo fisico e dal suo genere. Come molti sport, ci assicurano le ragazze, anche lo skate è un mondo fatto soprattutto da maschi, bianchi e con fisici conformi; un ambiente molto competitivo, in cui bisogna spesso dimostrare la propria abilità e l’aderenza a una serie di stereotipi di coolness per poter essere accettati negli skatepark.
«Ci siamo conosciute a Glasgow, quando Mara stava iniziando a pensare a questo progetto. Io ho un background nella moda e nei tessuti, Dalila invece è grafica, quindi potevamo unire molte competenze diverse» — racconta Giulia. Così nasce l’idea di iniziare a produrre vestiti e accessori per lo skateboarding che siano genderless e adatti a tutti i tipi di fisicità: le taglie, infatti vanno dall’XS (per vestire anche le donne più minute, cosa non sempre scontata per i brand di skateboarding) a tre XL.
«Quando io ho cominciato a skateare — dice Mara — c’erano pochissime donne, la queer community e le persone disabili erano totalmente assenti. Nello skateboarding i brand hanno un ruolo molto importante, un po’ perché rappresentano e sponsorizzano gli atleti, un po’ perché il modo di vestire è parte integrante della cultura dello skate. L’idea era: non c’è un brand che risponda alle nostre esigenze, perché non lo facciamo noi?».
Oltre a un’attentissima ricerca di tessuti e colori, alla base della produzione di Doyenne ci sono alcuni valori fondamentali, spesso difficili da rispettare in un mondo capitalista votato al consumismo: prima di tutto, la redistribuzione delle risorse (Doyenne si impegna a donare il 10% del ricavato ad associazioni che fanno dello skateboarding e dello sport forme di integrazione sociale, per esempio Skateistan, che insegna a skateare a bambine e bambini afghani). E poi la sostenibilità ambientale ed economica del loro business, con una particolare attenzione ai materiali e alla retribuzione dei soggetti coinvolti nella produzione.
© Doyenne Skateboards
«Dalla sua nascita a oggi il progetto si sta trasformando. — dice Giulia — Ora stiamo lavorando perché si evolva in modo da diventare sempre più un progetto di condivisione, magari in collaborazione con altre realtà».
Da sempre, infatti, Doyenne non è solo un brand, ma anche un collettivo di skater che organizza sessioni gratuite di skateboarding. Anzi, ancora prima di iniziare a produrre abiti e accessori, il progetto era nato come una serie di eventi in cui insegnare a skateare a chiunque volesse partecipare, senza limiti di genere, razza e abilità fisiche. Lo skateboard, infatti, ha grandi potenzialità benefiche sulla salute mentale, perché è uno sport che insegna la resilienza: «Tu continui a cadere e devi trovare un modo per rialzarti, lo skate non è altro che questo». Queste iniziative hanno portato Doyenne in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Grecia. Come dice Mara, la loro è «una nicchia nel mondo dello skate, quindi incontrarsi e fare rete con realtà simili alle nostre è molto facile. Vendiamo i nostri vestiti in tutto il mondo, indossarli diventa un modo per riconoscersi e condividere una serie di valori».
Tra i tanti progetti nati da Doyenne, per esempio c’è il film Seeking comfort in an uncomfortable place che racconta l’esperienza di diversi skater neurodivergenti. Le riprese sono appena concluse e presto il documentario sarà disponibile per la visione. Un altro progetto degli ultimi tempi è la fanzine educativa sul consenso targettizzata nello skateboarding, Ask, nata da una collaborazione con altre tre organizzazioni di skater donne e non binary per creare awareness sul tema della violenza di genere e delle molestie, che è stata distribuita in vari negozi specializzati e skatepark.
© Doyenne Skateboards
Anche a livello di immagine, Doyenne cerca di raccontare il glitch, lo scarto rispetto alla norma. Coniugando colori pastello e colori forti nelle collezioni di abiti, scattando con modelli il più diverse possibili, unendo il punk tipico dello skate all’energia femminile, Doyenne racconta gli ossimori, e la possibilità di abbracciare forze diverse all’interno dello stesso individuo.
«Vogliamo che il nostro lavoro sia un pretesto per aprire conversazioni sul tema dell'inclusività e un tramite con cui connettere persone che condividono i nostri stessi valori».
Doyenne è un brand e studio gestito da donne con un focus sull’inclusività. Fondato a Glasgow nel 2017, Doyenne opera all’intersezione dello skateboarding, creatività e attivismo, esprimendo i propri valori attraverso le sue collezioni, progetti curatoriali, e collaborazioni.
Cose belle che abbiamo letto in giro
Su consenso, desiderio e libertà: su Il Tascabile si parla di sesso.
La parabola del diritto all’aborto negli Stati Uniti, spiegata attraverso le sentenze. E una mappa interattiva che segue le decisioni dei singoli stati. La scrittrice e poeta Siri Hustvedt analizza come, in questa decisione della Corte Suprema, si intreccino razzismo, patriarcato e questioni di potere. E ancora: sull’interruzione volontaria di gravidanza la Bibbia non è così chiara.
Ci sono tanti modi di essere trans.
Un romanzo che mette al centro il sesso e ciò che può rivelare di noi. Centoundici libri queer consigliati da librai e autori. E un’edizione illustrata sulla vita e la scoperta di Vivian Maier.
Il potere della musica di Kate Bush.
Federico Taddia racconta la storia di Margherita Hack in un podcast.
Ad Arles c’è una mostra collettiva di sessantaquattro artiste sull’avanguardia del movimento femminista anni ‘70.
Cercate libri da leggere questa estate? Qui ci sono un po’ di idee.
Se vi piacciono i prodotti Marvel, su Disney+ c’è Ms. Marvel, la prima supereroina musulmana (che ci sta piacendo molto).
A presto,
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