Benvenuto settembre, eccoci qui!
L’autunno sta per iniziare e noi siamo tornate, dopo un’estate che purtroppo è già finita. Ci siamo riposate, ma abbiamo anche lavorato a tante delle cose che vedrete accadere nei prossimi mesi.
Divise tra la Puglia e il Marocco, tra Brescia e Milano, tra Venezia e Mantova abbiamo letto, studiato, scritto e abbiamo deciso di aprire questa nuova stagione della newsletter con un’intervista molto speciale. Al Festivaletteratura di Mantova (che quest’anno è stato pazzesco: abbiamo potuto vedere tantissime grandi autrici della letteratura mondiale - da Margaret Atwood a Dacia Maraini - e farci ispirare dal loro lavoro e dai loro interventi) grazie a Valentina e Rossella di minimum fax abbiamo incontrato un’autrice che abbiamo letto per la prima volta quest’anno e che ci ha colpite come un pugno nello stomaco: Dorothy Allison. Abbiamo letto il suo romanzo La bastarda della Carolina, la cui protagonista Bone ci ha ricordato primi personaggi femminili della letteratura americana che abbiamo amato - da Scout di Il buio oltre la siepe a Idgie di Pomodori Verdi Fritti al Caffè di Whistle Stop -, e ci ha fatte piangere, ci ha fatte soffrire e arrabbiare. Poi abbiamo letto delle donne della sua famiglia e degli uomini che le hanno amate, sfruttate e abusate nel memoir Due o tre cose che so di sicuro e abbiamo deciso che dovevamo assolutamente parlare con lei. Questa è parte della conversazione che ne è nata, ve la lasciamo qui.
La bastarda della Carolina di Dorothy Allison (minimum fax, 2018)
Resistere, in piedi, e cambiare le cose
Intervista a Dorothy Allison
«Sono una scrittrice femminista che racconta la classe operaia. Mi identifico completamente in queste definizioni, anche se per molto tempo hanno messo a disagio i critici letterari, soprattutto gli uomini. A dire la verità, metterli a disagio è quasi uno dei miei obiettivi, quando scrivo».
Inizia così la nostra conversazione con Dorothy Allison nella hall di un hotel appena fuori dal centro di Mantova. Allison è l’autrice di La bastarda della Carolina, un romanzo semi autobiografico uscito in America nel 1992 e finalista al National Book Award che minimum fax ha pubblicato in Italia per la prima volta nel 2018. In effetti, il romanzo è noto soprattutto per essere stato al centro di una controversia legale a pochi anni dalla sua pubblicazione, quando una scuola americana decise di vietarne la lettura agli studenti. Anche Stephen King si schierò in sua difesa e insieme alla moglie Tabitha ne regalò alcune copie alle biblioteche del Maine affinché potesse essere letto. Oggi La bastarda della Carolina appare in tutte le liste dei migliori romanzi di formazione dagli anni 50 a oggi, accanto a classici come Il giovane Holden e Il buio oltre la siepe.
La bastarda della Carolina è Ruth Anne Boatwright, per tutti Bone, bambina in una piccola cittadina della Carolina del Sud, figlia illegittima di una giovanissima ragazza madre. Bone cresce in una grande famiglia operaia, circondata da zii e cugini rumorosi, litigiosi e dipendenti dall’alcool e da zie pragmatiche, concrete, resilienti, ma pur sempre votate agli uomini della famiglia. «Le zie trattavano i miei zii come ragazzini cresciuti - adolescenti turbolenti dei cui capricci bisognava più ridere che preoccuparsi - e pure loro avevano la stessa percezione di se stessi. Avevano un aspetto giovanile [... ] mentre le zie apparivano vecchie, consumate, e lente, sembrava fossero nate solo per fare le madri, le balie, le cameriere degli uomini» dice a un certo punto la voce narrante. Bone ha un rapporto viscerale, quasi disperato, con la madre, cui non smette di aggrapparsi anche quando diventa vittima degli abusi e delle violenze del suo nuovo marito. Un racconto che tratteggia dall’interno i White trash e una terra (gli Stati Uniti del Sud) quasi senza speranza con una scrittura secca, dura ma allo stesso tempo pura e cristallina, che ci riporta ai migliori esempi della letteratura sudista.
«Ci sono state delle meravigliose scrittrici donne nella tradizione della letteratura sudista, - Flannery O’Connor ad esempio, o ancora prima Katherine Anne Porter - ma c’è da dire che nella storia noi donne siamo state più spesso personaggi che scrittrici» ci risponde Allison quando le chiediamo qual è stato il ruolo delle donne in questa tradizione letteraria tipicamente americana. «L’ingresso delle donne nel mondo della letteratura ha portato un grande cambiamento. Perché invece di essere i personaggi che venivano visti dall’alto siamo diventate le voci narranti, capaci di esprimere le nostre percezioni, di raccontare il nostro posto nel mondo, le nostre famiglie, i posti in cui siamo cresciute».
Lei l’ha fatto anche in un memoir che si intitola Due o tre cose che so di sicuro (minimum fax, 2019) in cui Dorothy racconta la storia della sua famiglia, che tanto ha ispirato La bastarda della Carolina, e del suo lungo percorso di riscatto che l’ha portata a trasformare in letteratura la sua drammatica infanzia. «Quando avevo 22 anni e frequentavo l’università un giorno capitai a un gruppo di discussione femminista. Io ero lì con i miei jeans, il mio giubbino e una maglietta strappata, quando prese la parola questa donna completamente diversa da me, con i tacchi alti e una collana di perle e disse: “Dovete aiutarmi perché ogni notte io sogno di ammazzare mio padre”. Sentii come una scarica elettrica: anche io ogni notte sognavo di uccidere il mio patrigno» ci racconta Dorothy. «Chi ha subito violenze il più delle volte cerca di autodistruggersi. Scoprire di avere qualcosa in comune con una donna così diversa da me ha cambiato la mia vita. Il femminismo mi ha dato gli strumenti per non diventare una creatura così disperata, mi ha permesso di combattere al fianco di altre donne. Accanto a quella donna con le perle, ad esempio - che io continuo a non capire, perché non capisco le donne della middle class - ma di cui ho capito la rabbia e il dolore».
Oggi Dorothy ha 70 anni e «muscoli in parti del corpo in cui pensavo non ne avrei mai avuti» scherza, ma per svilupparli c’è voluto molto tempo, correndo a lungo il rischio di non sopravvivere. Un bilico continuo tra il senso di liberazione nel raccontare la propria storia e la vergogna e la disperazione del riviverla. «Quando ho scritto La bastarda della Carolina volevo che in queste pagine apparisse la verità sui problemi di violenza, i problemi di classe, quelli legati alle proprie origini, quella sensazione di essere sopraffatto dalla propria stessa esistenza e comunque la capacità di resistere, in piedi, e cercare di cambiare le cose. Bone è una bambina, e alla fine del libro sta a malapena diventando una ragazza. Lei non è ancora arrivata alla consapevolezza a cui alla fine sono arrivata io, ma sono certa di aver mostrato un personaggio che ce la può fare».
Un personaggio che prima o poi troverà il suo posto nel mondo. Com’è successo a Dorothy, che oggi ha una compagna, un figlio e un lungo periodo come insegnante di scrittura alle spalle, oltre alla sua brillante carriera di scrittrice. «C’è stato un momento in cui mia madre e mia sorella mi hanno rifiutato, ma col tempo sono tornate. Io non sono cambiata, loro lo sono. Eravamo troppo legate per separarci davvero. Ma io sono stata abbastanza forte da crearmi una mia famiglia mentre aspettavo che loro realizzassero che non me n’ero mai andata, che le amavo ancora e che loro amavano me» ci spiega.
Prima di salutarci le chiediamo qual è secondo lei il posto delle donne nel mondo del futuro: «Una cosa che sta diventando molto comune per le donne e per le persone in generale è la tendenza ad astrarsi sempre di più da qualsiasi ruolo di genere. La liquidità delle nuove generazioni è affascinante: crea delle dissonanze e a me le dissonanze piacciono molto» conclude. «Ho una figlioccia di due anni, ogni tanto la guardo e penso “Chissà chi sarà quando sarà grande, chi sceglierà di essere?”. Spero che avrà molte possibilità».
Dorothy Allison è considerata l’erede di una grande tradizione letteraria «sudista» che annovera, tra i suoi più grandi esponenti, William Faulkner, Flannery O’Connor, Tennessee Williams e Carson McCullers. Autrice di racconti, memoir e saggi, tra i suoi titoli più significativi annoveriamo Trash e Due o tre cose che so di sicuro. La bastarda della Carolina, il suo primo romanzo, è stato finalista al National Book Award e portato sugli schermi americani da Anjelica Huston.
Cose belle che abbiamo letto in giro!
Settembre parte con molti consigli di lettura!
La notizia che tutti aspettavamo: I testamenti, il nuovo libro di Margaret Atwood è arrivato.
C’è poi l’attesa che si consumerà intorno al nuovo titolo di Elena Ferrante. E la nostra lettura di questi giorni: Rosamund di Rebecca West, appena uscito per Fazi Editore.
Se invece siete alla ricerca di un saggio, non potete farvi sfuggire Trick Mirror di Jia Tolentino: si parla di internet, social media, femminismo, religione, letteratura e molto altro. Il tutto attraverso lo specchio deformante della nostra realtà attuale. E se volete sapere qualcosa di più sull’autrice, giovane staff writer al New Yorker, c’è il ritratto che le aveva dedicato Rivista Studio un po’ di tempo fa.
Di relazioni, costrutti sociali e aspettative verso il matrimonio parla poi il saggio di Irene Soave appena uscito per Bompiani: Galateo per ragazze da marito.
La storia di Shulamith Firestone, la pensatrice che rivoluzionò il femminismo.
E quella di Hajar Raissouni, giornalista marocchina arrestata ad agosto con l’accusa di aver abortito e di aver fatto sesso al di fuori del matrimonio, che ora rischia fino a due anni di carcere.
In Italia quasi il 6% delle donne soffre di vulvodinia, ma spesso questa patologia non viene riconosciuta o, altrettanto spesso, minimizzata. Perché succede?
La discriminazione verso le persone sovrappeso, passa anche per un diverso trattamento economico.
Un’interessante riflessione su come la rabbia dei personaggi femminili sia rappresentata nelle serie tv.
Nella lista dei 100 imprenditori più innovativi («the most creative and successful business minds of today») secondo Forbes c’è solo una donna.
A presto!
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