Ammetto, io Giulia P., che questa newsletter nasce da un’esigenza personale: volevo colmare la mia lacuna per quanto riguarda la poesia contemporanea.
Non ne sono una grande fruitrice: la conosco poco e male, qualche nome e verso sparso. Quel che ho letto, l’ho sempre dimenticato in fretta. Per questo, ho pensato di prendere due piccioni con una fava: chiedere a qualcuno di scriverne per Senza rossetto.
La persona giusta per farlo era (ed è) Laura Pezzino: una delle giornaliste culturali più note, firma storica di Vanity Fair. A lei abbiamo chiesto di segnalarci le autrici viventi da conoscere assolutamente. Il risultato della sua ricerca sono le Magnifiche Sei (come le chiama lei stessa): poete poco note al grande pubblico e, in cinque casi su sei, non ancora tradotte in italiano.
Si tratta di una preziosa lista che vi farà venire voglia di scoprire di più e di leggere di più. Con me ha funzionato benissimo.
Illustrazioni di Enea Brigatti per Senza rossetto
Dove sono le poete?
di Laura Pezzino
«Parlando, si ha paura che le nostre parole non vengano ascoltate o accolte. Ma abbiamo paura anche quando restiamo in silenzio. Quindi è sempre meglio parlare»
- Audre Lorde (1934-1992), poeta, attivista e femminista di Harlem
Nel 1845, Elizabeth Barrett Browning si chiedeva: «Dove sono le poete? Cerco ovunque le nostre antenate e non ne vedo nessuna». Le cose, oggi, sono cambiate.
La poesia fatta da donne — fatta, non scritta, sia perché poesia viene dal greco poieo, che significa «fare», sia perché il produrre, il creare, è da sempre un mestiere per donne — è una vibrazione che si sta propagando per contagio. Arriva da molto lontano, da un tempo in cui la prima donna veniva chiamata Saffo. Ha percorso carsicamente i millenni, riemergendo là dove trovava degli spacchi nel terreno e, come il sangue di una santa, coagulandosi o sciogliendosi a beneficio delle sue adepte.
Negli ultimi duecento anni, da sottile è diventata un coro. Quella della «voce» è più di una metafora: le poete oggi vanno alla ricerca proprio di una voce, la propria voce, che possa farsi prima testimonianza, poi resistenza e, infine, rivoluzione.
Secondo il Guardian, oggi in Gran Bretagna le giovani donne tra i 13 e i 24 anni sono le maggiori «consumatrici» di poesia in un mercato che, negli ultimi 5 anni è cresciuto del 48% e che ha un fatturato di 12,3 milioni di sterline. È soprattutto a loro che le sei giovani poete — la più vecchia ha 47 anni, la più giovane 26, tutte inedite in Italia, tranne Giulia Martini — che ho scelto (una scelta per forza di cose parziale e arbitraria) parlano.
Le Magnifiche Sei vengono da punti che, sulla Terra, paiono molto distanti. Ma pur occupandosi di tematiche diverse, nei loro versi, e con i pretesti più vari, tutte parlano di identità, sessualità, razza, corpo, amicizia, sorellanza, amore, dolore, lotta, protesta, omofobia, diritti civili.
Non esiste una cosa chiamata «poesia femminile», come molti critici (maschi) definiscono quell'inconfondibile «odore di tinello». A esistere sono poeti donna. Mettere l'accento sul sesso, qui, ha un triplice significato: riconoscere una specificità tematica, connetterle a una precisa tradizione (le «antenate») e tracciare una via per un futuro florido dove si possa avverare la visione della nativa americana Joy Harjo, nuova Poeta Laureata americana: «We must turn slaughter into food», «Dobbiamo trasformare il massacro in nutrimento».
(N.B. Non essendo una traduttrice professionista, non ho tradotto i testi in inglese, che sono comunque piuttosto comprensibili).
Gran Bretagna: la magia nera di Liz Berry
Quando Liz Berry, 39 anni, ha lasciato la terra in cui è nata – la Black Country nelle West Midlands, chiamata così per la fuliggine delle miniere di carbone e delle fonderie d'acciaio, un'area una tra le più disagiate del Regno Unito dove, nel 2016, la gente ha votato in massa per la Brexit – un pezzo del suo cuore è rimasto indietro.
Per questo il suo primo libro si intitola Black Country (2014). «Quel posto perseguitava la mia scrittura», ha detto in un'intervista, «la sua oscurità, il paesaggio sventrato e, soprattutto, il dialetto. C'era della magia nera. Volevo che quella durezza facesse da base ai momenti di estasi della mia poesia». Pesantezza e nero da una parte, quindi, e levità e volo dall'altra, come nella bellissima Bird, dove immagina di essere un uccello:
So I left girlhood behind me like a blue egg / and stepped off / from the window ledge. / […] Lunars I flew / battered and tuneless / the storms turned me insideout like a fury, / there wasn’t one small part of my body didn’t bawl. / Until I felt it at last the rush of squall thrilling my wing / and I knew my voice / was no longer words but song black upon black. / I raised my throat to the wind / and this is what I sang…
Nel 2018 è uscito il premiatissimo The Republic of Motherhood (che ricorda i testi sulla maternità di Sylvia Plath e Greta Stoddart) dove Berry alterna momenti di intimità e ironia (dedica una poesia alla placenta, un'altra a un uomo che partorisce al posto suo), ad altri dove quello della «motherhood» diventa un «paese» e prevale il bisogno di parlare a nome di tutte le sue abitanti:
I knelt instead / and prayed in the chapel of Motherhood, prayed / for that whole wild fucking queendom, / its sorrow, its unbearable skinless beauty, / and all the souls that were in it.
Nigeria: Ijeoma Umebinyuo, è sempre meglio parlare
Ijeona Umebinyuo è nata a Lagos, in Nigeria, ed è di etnia igbo. La sua prima raccolta, Questions for Ada (2015), tratta temi come l'amore, la colonizzazione, la migrazione, la depressione, la cura di se stessi e la perdita, ed è soprattutto una testarda ricerca della propria voce. Una lirica dice: So, here you are / too foreign for home / too foreign for here. / Never enough for both.
Ijeoma scrive, incoraggiata dal padre, da quando aveva 10 anni e i suoi testi sono diretti «a chi non si sente rappresentato nella letteratura: ragazze e ragazzi africani, donne di colore, immigrati, chi si sente solo, chi ha problemi mentali. Chiunque creda di avere bisogno di una cura». Si definisce femminista: «Per una donna che scrive, parla, narra e cura le storie come faccio io, essere una femminista non è un'opzione, ma una necessità». L'ispirazione le viene dalla nonna, la cui educazione si dovette fermare molto prima di quella dei fratelli maschi. Procedendo per antitesi, l'obiettivo della sua arte è smantellare la cultura del silenzio, tema anche di una Ted Talk (intitolata, appunto, Dismantling the Culture of Silence) in cui ha parlato delle gabbie in cui finiamo quando le storie che abbiamo da raccontare restano non dette. Per Umebinyuo, un modo per scardinarla è incoraggiare gli altri a raccontare, ascoltandoli con mente aperta.
Qui parla della cura:
Healing comes in waves / and maybe today / the wave hits the rocks / and that's ok,
that's ok, darling / you are still healing / you are still healing.
Questo una specie di manifesto:
I want to write about / women who pray for me / in a language so beautiful / english will bow.
Usa: Tracy K. Smith, in missione tra Spazio e poesia
Tracy K. Smith, 47 anni, è stata Poeta Laureata americana, ha vinto un Pulitzer per Life on Mars (2011) e rispetto alle poete di questa lista può essere considerata una (giovane) antenata.
Nei crediti del suo film Ad Astra, dove un introverso Brad Pitt parte per lo spazio in cerca del padre che da anni è disperso dalle parti di Nettuno, il regista James Gray la ringrazia proprio per questo libro, che è un'elegia piena di gratitudine che la poeta dedica al padre morto da poco e che si era occupato del telescopio Hubble per la Nasa. In Life on Mars, Smith mescola concetti relativi allo spazio (materia oscura, universo, solstizio, forza di gravità), a David Bowie e alla mitologia, riflettendo su questioni molto terrene:
Tina says what if dark matter is like the space between people / when what holds them together isn't exactly love, and I think / that sounds right.
La poesia My God, It's Full of Stars, che è un verso tratto da 2001: Odissea nello spazio, include una perfetta descrizione di come la storia, la specie umana e lo spazio interagiscono per trovare una risposta alla ricerca del significato:
We learned new words for things. The decade changed. / The first few pictures came back blurred, and I felt ashamed / For all the cheerful engineers, my father and his tribe. The second time, / The optics jibed. We saw to the edge of all there is— / So brutal and alive it seemed to comprehend us back.
Nell'ultima raccolta Wade in the Water (2018), Smith tocca tematiche più «militanti», come schiavitù, classi, clima. In un'intervista ha ammesso di avere una missione: diffondere la poesia al più ampio pubblico possibile. Perciò si è messa in viaggio per gli Stati Uniti, visitando scuole, piccole città, carceri minorili e ha anche creato un podcast, The Slowdown. Due versi bellissimi da Wade in the Water:
Is it strange to say love is a language / Few practice, but all, or near all speak?
Corea-Usa: Franny Choi, ode all'intelligenza artificiale
Nel suo ultimo libro, Soft Science (2019), anche la poeta, scrittrice e performer Franny Choi, 30 anni, mette in relazione scienza e poesia. E, anche qui, come per Tracy K. Smith, lo scienziato della famiglia è il padre. In questa raccolta Choi, la cui produzione poetica tratta temi come l'attivismo, il gender e l'uguaglianza sociale, usa l'intelligenza artificiale come metafora del suo sentirsi, in quanto giovane donna queer coreano americana, oggetto di desiderio, fantasie e potere in un mondo dominato da bianchi e capitalismo. Un oggetto inclassificabile, quindi, come Kyoko, il cyborg del film Ex Machina al quale la sua raccolta è ispirata.
Franny vive a Providence, nel Rhode Island, dove gestisce la comunità locale di slam poetry e l'influenza della spokend word (una passione che le è nata dopo avere conosciuto alle superiori Allen Ginsberg) è evidente nella sua produzione: multiforme e strana (ogni sezione inizia con un test di Turing per determinare se il soggetto ha o no una coscienza), con una grande attenzione alla lingua (che Choi, in quanto asioamericana, considera, correttamente, una «tecnologia» imparata per «riuscire a navigare il mondo in modo più sicuro»), diretta e ironica, come nel testo intitolato The Cyborg Wants to Make Sure She Heard You Right, composto unicamente da messaggi di hate speech ricevuti su Twitter da lei tradotti, con Google Translator, in diverse lingue e poi ritradotti in inglese, con un risultato allo stesso tempo spiazzante e divertente.
Nuova Zelanda: Hera Lindsay Bird, il sesso ai tempi di Friends
Hera Lindsay Bird ha 32 anni, vive a Wellington, in Nuova Zelanda, e scrive poesie su cose come bisessualità («To be bisexual is to be out of office, even to yourself / Like a rare sexual Narnia and no spring in sight»), Monica di Friends e il telefilm anni '90 La tata. Ma è lei stessa a dire che si tratta solo di «cavalli di Troia» per quello che è il tema ufficiale delle sue poesie: «You get in love and then you die». Sì, l'autrice dei versi «Keats is dead so fuck me from behind / Slowly and with carnal purpose» è in realtà una sentimentale, una che si ispira a Emily Dickinson ed Edna St Vincent Millay, ama gli omicidi irrisolti, il pattinaggio di figura, John Waters e fare pipì sotto la doccia. In un'intervista ha detto: «Mi sento come se avessi messo un giubbotto di pelle sopra un pigiama di Laura Ashley». Il suo primo libro, uscito nel 2017, aveva come titolo il suo stesso nome, «un omaggio a una delle mie pop star preferite degli anni '90, Janet Jackson, che ha intitolato tre album con il proprio nome». Quando la sua poesia su Keats divenne virale, furono in molti, soprattutto donne (perché molti uomini si misero a scriverle cose spiacevoli), a capire quanto i suoi testi fossero «dolorosamente nudi» e ne apprezzarono il modo aperto di parlare di sesso
Bend me over like a substitute teacher / & pump me full of shivering arrows,
e le bellissime immagini:
The days burn off like leopard print .
Prendiamo, infine, la poesia sulla Tata, che inizia con lei intenta a guardarne tutte e sei le stagioni mentre la sua relazione sta andando a pezzi:
There’s nothing in this world more boring than heartbreak / It’s like a tax audit of the soul / And what once seemed rare and poignant / And full of emotional promise / Just makes me want to dose myself / to the brim with horse tranquilizers / And take a long vacation to skeleton town.
Italia: Giulia Martini, attualizzare il canzoniere
È una delle più promettenti giovani poete italiane Giulia Martini, 26 anni, di Pistoia, ma che vive a Firenze. La sua eroina si chiama Patrizia Cavalli, della quale si è occupata così costantemente, durante la scrittura della tesi di laurea, «che ora è un po' difficile dire cosa, nel mio lavoro, non sia un suo debito».
Il suo primo libro è Coppie minime (Interno Poesia, 2018), un mirabile lavoro di intagliatura della lingua italiana. Le «coppie minime», in linguistica, sono due parole che si differenziano soltanto per un fonema. Martini fa giri lunghissimi, pieni di calembour, anagrammi e digressioni, quasi un gioco di associazioni libere e assonanti, attorno alla donna amata, Marta («Un'altra cosa che mi resta: / il tuo nome nel mio cognome»), che è andata via.
Per Giulia, «il poeta è sempre quello che disobbedisce all'ordine precostituito in favore di un ordine paradossale, il suo lavoro ha a che fare con la perdita dei confini , supera la storicità del proprio tempo, parla la lingua dei miti». L'assenza del soggetto d'amore ai tempi di WhatsApp («So sempre dove sei / quando sei online»), trova risonanze nella poesia dei trovatori e nella riscrittura, quasi ossessiva, degli autori del passato, tra cui Dante e Petrarca («Erano i capei d'oro a Marta sparsi»). In Coppie minime Martini, che per Interno Poesia ha anche curato un'antologia di poeti nati negli anni Ottanta e Novanta, traccia una storia del sentimento d'amore, prima ricambiato e casalingo (le scene del frigo e dei cereali), poi sempre più distante fino all'abbandono. Questa è una delle mie preferite:
Il letto già rifatto per metà, / sulla tua metà non più sfacibile. / Meno stoviglie da lavare, questo è certo - / poi ho sempre detestato fare i piatti. / Molte più rime e meno rimasugli / sugli scartafacci, sui divani. / Guarda che mani vergini, che faccia - / come non fosse mai stata scartata. / Te ne sei andata col tuo ombrello rotto / che non lo devo neanche buttar via. / Che singolarità, che pulizia! / Ah che bello, non mi vedrai invecchiare.
Un'essenzialità della parola scritta che spiazza, interroga sulla stabilità (solo apparente) del reale, trabocca ed è bulimica (e di cui Rondoni ha scritto «nella sua energia di arto amputato»): perché quando si distilla un'esperienza quel che rimane è la poesia.
Laura Pezzino è giornalista. Appassionata di letteratura e poesia, per anni ha lavorato come book editor a Vanity Fair Italia. Ora è freelance, collabora con varie testate e organizza eventi letterari.
Cose belle che abbiamo letto in giro!
La vita bugiarda degli adulti, il nuovo romanzo di Elena Ferrante è arrivato in libreria, qui nove cose da sapere (senza spoiler).
Uno dei nostri personaggi preferiti di Bojack Horseman è da sempre Princess Carolyn, che si riconferma tale nella nuova stagione della serie. Sempre in tema tv: un bel ritratto della fantastica signora Tina Fey e un’intervista a Helena Bonham Carter sul suo ruolo in The Crown 3 (che arriva il 17 novembre su Netflix!).
Come suona la fine di un amore? Ce lo dice FKA Twigs nel suo nuovo album.
Un paio di progetti fotografici da non perdere: Women of Impact del National Geographic e Book 11 di Lina Scheynius.
Di tv e amori non convenzionali, di giovani youtuber a confronto, o di come la Generazione Z sta ridefinendo l’idea di sessualità, sensualità e bellezza (e di cosa c’entrano i filtri di Instagram).
Come campano le donne nel mondo dell’arte? Un’indagine di Artribune.
Non volere figli ma nemmeno una carriera si può? E insegnare l’empowerment in un carcere femminile?
La storia di Carla Capponi, la partigiana che liberò Roma.
Domenica 17 novembre vi aspettiamo qui:
A presto!
Vuoi darci una mano?
Senza rossetto è un progetto a budget zero. Tutto il lavoro dietro al nostro podcast e a questa newsletter è volontario e non retribuito, ma è un lavoro che richiede molte forze e anche qualche soldo. Se vuoi aiutarci a sostenere le spese di produzione, incoraggiarci o anche solo offrirci una caffè puoi farlo attraverso PayPalusando la mail senzarossetto@querty.it, oppure puoi impostare una donazione ricorrente sul nostro profilo Patreon. Ogni aiuto sarà per noi prezioso, quindi grazie!
Seguici!
Il nostro sito è senzarossettopodcast.it, ma ci trovi anche su Querty.it, Facebook, Instagram e Twitter.
Se invece hai idee da proporci, suggerimenti da darci, segnalazioni da fare (anche queste, per noi, sono importanti) scrivici all'indirizzo senzarossetto@querty.it. E se questa newsletter ti è piaciuta, girala ai tuoi amici!