Se come noi siete appassionati di libri, normalmente questi sono i mesi in cui si entra nel vivo del calendario letterario: in maggio ci sono grandi uscite editoriali in vista dell’estate, la primavera è costellata di festival e fiere di libri, e soprattutto questo periodo è l’inizio della stagione dei premi letterari. Inutile dire che quest’anno le cose sono andate un po’ diversamente, ci siamo anche stufate di iniziare ogni newsletter con questa banale premessa. Tra tutte le cose che sono cambiate, i premi letterari sono una delle poche certezze: cambieranno le modalità, ma più o meno tutti verranno ugualmente assegnati durante i prossimi mesi. Al di là del valore che attribuiamo ai premi, seguirne le vicende e i dietro le quinte per noi fa sempre estate e, ovviamente, quello che ci appassiona più di tutti è il Premio Strega, che è anche il più prestigioso per la letteratura italiana. I dodici libri in concorso sono stati ormai selezionati, ora si aspetta il 9 giugno prossimo per scoprire la cinquina finalista. Come spesso succede nei premi letterari che tanto fanno parlare (e vendere), anche quest’anno al Premio Strega mancano le donne. Sono solo tre le scrittrici in corsa, un quarto esatto dei partecipanti. Per capire un po’ meglio perché e che aria tira nell’editoria, nella critica e appunto nei tanto ambiti premi abbiamo pensato di rivolgerci direttamente a loro: in questa newsletter quindi parliamo di libri, di scrittrici, di quote rosa, di scrittura e di talento con Silvia Ballestra, Marta Barone e Valeria Parrella. Sperando di rivederle tutte in cinquina!
Illustrazione di Daria Tommasi per Senza rossetto
Fuori dal tinello
Intervista a Silvia Ballestra, Marta Barone e Valeria Parrella
C’è stato un momento della nostra vita in cui ci siamo imposte di leggere più scrittrici. È stata una vera e propria decisione perché, entrando in libreria o aprendo un inserto culturale, ci siamo rese conto che gli uomini avevano quasi tutti gli spazi migliori. Erano numericamente più presenti, mentre le donne spesso si nascondevano dietro a nomi dalle iniziali puntate o negli scaffali riservati ai romanzi rosa. Da quel momento, quindi, abbiamo iniziato a leggere autrici italiane e straniere, ad analizzare come le copertine delle scrittrici venissero pensate e perché avere una «scrittura da maschio» fosse un complimento, qualcosa che certifica il tuo valore. E ci chiedevamo: può un’industria come quella culturale, dove al centro dovrebbe esserci la qualità e il progressismo, essere ancora così sessista?
«Quando ho iniziato io, negli anni ‘90 non c’era la percezione di un ambiente così maschilizzato. A parte il fatto che io ero giovane e spesso, finché si studia, non ci si accorge delle ingiustizie: ho cominciato a vederle con l’ingresso nel mondo del lavoro e si sono fatte più evidenti e macroscopiche quando ho avuto i figli». A parlare è Silvia Ballestra, classe 1969, tra i 12 finalisti al Premio Strega 2020 con La nuova stagione, edito da Bompiani. «Quando sono entrata nel mondo letterario, - prosegue Ballestra - non notavo grandi differenze, se non il fatto di trovarmi sempre in minoranza: ai convegni ti invitano con la premessa “ci servono le donne”, ma quando una è giovane non ci fa caso. Poi gli anni passano, la musica è sempre quella e ti inizi a rendere conto che c’è sempre e solo una voce interpellata: quella degli uomini».
Il 5 luglio 2018 il Premio Strega, il più prestigioso premio letterario italiano, viene vinto da Helena Janeczek con il romanzo La ragazza con la Leica, una biografia della fotografa Gerda Taro. Erano quindici anni che il premio non veniva assegnato a una donna, l’ultima volta era stata Melania Mazzucco con Vita nel 2003. La vittoria di Janeczek è un evento straordinario perché tra i vincitori delle oltre settanta edizioni del premio ci sono solo undici donne: la prima, nel 1957, Elsa Morante, seguita da Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, Maria Bellonci, Mariateresa Di Lascia, Dacia Maraini, Margaret Mazzantini e, appunto, Melania Mazzucco e Helena Janeczek. Non si tratta solo del Premio di casa Bellonci, anche per altre competizioni letterarie i numeri non sono altrettanto confortanti: solo undici autrici in sessantasette edizioni hanno vinto il Bancarella, mentre sono quattordici su cinquantotto le vincitrici del Premio Campiello.
Quest’anno sono tre le scrittrici nella dozzina dello Strega. Ed è proprio a loro che abbiamo voluto porre la questione della rappresentazione delle donne in un premio culturale e nell’industria editoriale. Uno spazio che, nonostante le aperture a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, continua a essere prettamente maschile. «Del resto, non si può ancora pretendere troppo da un mondo il cui Salone più importante ha uno spazio riservato alle donne come panda da proteggere e che ha un titolo da soap opera sudamericana (“Solo noi stesse”), - commenta Marta Barone, autrice in lizza con il suo memoir Città sommersa, edito da Bompiani - Ecco, proposta per i prossimi anni: eliminiamo quello spazio, confondiamo i noi e le acque territoriali, non proteggiamo nessuno e distruggiamo i recinti a morsi».
Valeria Parrella, terza finalista con il suo Almarina, edito da Einaudi, affronta la questione a partire dalla sua esperienza: «Una volta un collega maschio, molto bravo, si lamentò di non essere entrato nella cinquina del Campiello. C’erano due donne in quella rosa di finalisti e io gli dissi che probabilmente si era voluto anche proteggere la quota di donne candidate. Si lamentò dicendo che occupavano “già” due posti. Per quanto mi riguarda potevano anche essere cinque donne finaliste (quante volte è successo che fossero cinque uomini?). Ma per un autore maschio era impensabile una cinquina del genere».
Come raccontiamo anche nel nostro libro Le ragazze stanno bene, secondo il report “Leggere è donna. Scrivere è maschile” dell’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori e di Pepe Research, nel 2016 tra le persone con più di sei anni ad aver letto almeno un libro nell’anno precedente la percentuale femminile era del 47,1% contro il 33,5% di quella maschile. Se nel 2005 le scrittrici erano il 29,7% (contro il 70,3% degli scrittori), nel 2017 le salivano al 38,3% (contro il 61,7%). Per quanto riguarda invece la filiera editoriale, se entriamo in una casa editrice, di qualsiasi dimensione essa sia, con ogni probabilità ci troveremo davanti una schiera di redattrici, traduttrici e lettrici donne e direttori editoriali, presidenti, amministratori delegati uomini (al 2017 le donne in ruoli dirigenziali erano il 22,3%, gli uomini il 77,7%). Nel nostro Paese i libri li fanno le donne, eppure quando si tratta di ricoprire ruoli di prestigio nella filiera, quando si tratta di raccontare questi libri al grande pubblico o di ottenere il riconoscimento della critica (che si sa, spesso corrisponde anche a grandi vendite in termini di mercato) il primo posto spetta ancora ai maschi. «Se per i decenni scorsi questa assenza femminile potevamo spiegarcela con delle ragioni storiche - commenta Silvia Ballestra - adesso inizia a diventare un po’ strana perché le lettrici sono donne e nel mondo dell’editoria lavorano soprattutto donne, però l’autorevolezza su certi temi viene riconosciuta sempre agli uomini. Anche quando si tratta di scrivere commenti o editoriali su quotidiani nazionali e si vuole il parere di uno scrittore si chiama quasi sempre uno scrittore maschio. Alle scrittrici vengono chiesti i temi da donne: per esempio, per l’8 marzo ti chiamano fisso».
Altra questione, centrale, è la critica letteraria, che secondo Silvia Ballestra continua ad avere qualche problema con le scrittrici: «Prima ancora della critica ai premi bisognerebbe fare una critica alla critica, che è molto maschile e maschilista e che dà sempre e solo riconoscimento agli uomini. Con le dovute eccezioni eh, soprattutto tra i più giovani. Mi viene in mente Paolo Di Paolo che ha scritto molto sui libri delle donne, oppure Jonathan Bazzi che cita molte autrici tra i suoi riferimenti. Ma lo stesso Tondelli, con cui ho iniziato io, aveva molte scrittrici come riferimenti forti del suo lavoro. Noi eravamo anche tante autrici nelle antologie che lui curava, ma erano tempi migliori quelli, poi si è tornati indietro. Agli inizi degli anni Novanta si sentiva ancora l’onda lunga del femminismo, erano le nostre sorelle maggiori che avevano fatto una rivoluzione enorme e che vent’anni dopo ancora si sentiva, anche nella critica femminile e femminista che era molto sviluppata. Dopo nel corso degli anni un po’ si è persa, ma adesso sta rispuntando: vedo tante giovane autrici che vengono lette, tradotte all’estero, premiate… Guardiamo lo Strega dello scorso anno: non hanno vinto, però Terranova e Durastanti si sono imposte molto bene e i loro libri hanno fatto una bella storia anche in libreria. In questo il Premio Strega è molto cambiato, ormai anche arrivare in cinquina è una vetrina importante».
Sulla rappresentazione delle donne in letteratura ci sarebbe moltissimo da dire, a partire da quante di loro fanno parte dei libri di scuola, di quelle antologie che ciascuno di noi ha sfogliato da ragazzo e in cui spesso le autrici erano racchiuse in qualche boxino colorato: «Io ho fatto l’università a inizio anni ‘90 - racconta Valeria Parrella, - a Lettere classiche c’erano due esami di letteratura italiana. Nel volume dedicato al Novecento c’erano solo autori maschi e poi, a parte, un capitolo chiamato “La scrittura al femminile” con scrittrici come Grazia Deledda, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Amelia Rosselli… Questo era l’esame di letteratura alla Federico II. Ci vorrà del tempo per liberarsi da questi stereotipi e i libri sono soltanto un tassello. Il discorso sulla parità di genere dovrebbe essere più ampio, a partire dall’educazione sentimentale nelle scuole: serve insegnare la tolleranza e la diversità come ricchezza».
Ma la questione della «scrittura femminile», quell’etichetta che ha accompagnato per tanto tempo le autrici, di qualsiasi argomento scrivessero, sembra finalmente star perdendo forza: «Ormai persino i più accaniti detrattori della “scrittura al femminile” si sono dovuti accorgere che le donne sono uscite dal tinello, - ci racconta Marta Barone - Come se le scrittrici si fossero sempre e solo occupate di tinelli; e come se il tinello non fosse un tema fondamentale della vita degli umani, e soprattutto delle umane in trappola. Penso a Jennifer Egan, Olga Tokarczuk, Zadie Smith, e sono solo tre esempi fra centinaia di intelligenze e narrazioni sopraffine. Ci sono anche scrittrici che scrivono libri “letterari” addomesticati, banali, pieni di idee generali e di cliché, insomma: brutti. È questa la libertà. La scrittura al maschile sorprendentemente si declina all’emotività di questi tempi: i papà (non i padri: i papà), gli ossessionati dal proprio pene (va be’, questa è una tradizione, ma ci sono ossessionati e ossessionati, come al solito), i dolenti compilatori delle loro fragilità e disfunzionalità. Se insomma la scrittura “emotiva” è sempre stata tradizionalmente attribuita alle donne, anche questa divisione si è spezzata. Trovo grande speranza nella recensione sbalordita e meravigliosa dell’Iguana di Anna Maria Ortese che ha scritto Manganelli ancora in pieno maschilismo totalitario e che si trova adesso in Concupiscenza libraria, Adelphi: “Basta leggere tre, quattro pagine, e vediamo scomparire scaffali su scaffali di libri contemporanei […] forse in quegli anni potevamo polemizzare un po’ di meno sui libri di Bassani e Moravia, e leggere L’Iguana”. Il genio vero sopravvive a tutto, e se rimane sepolto qualcuno lo riscoprirà».
Silvia Ballestra ha esordito nel 1990 nell’antologia Papergang - Under 25 vol.3 a cura di Pier Vittorio Tondelli, ed è autrice di vari romanzi, raccolte di racconti, saggi e traduzioni. Con il romanzo La nuova stagione (Bompiani, 2019) è tra i dodici libri candidati al Premio Strega 2020.
Marta Barone, nata a Torino nel 1987, ha studiato Letterature comparate all'Università di Torino. Nel 2008 con Mondadori ha pubblicato Miriam delle cose perdute e nel 2011 I giardini degli altri. Il suo memoir Città sommersa (Bompiani, 2020) appare nella dozzina candidata al Premio Strega.
Valeria Parrella ha esordito nel 2003 con una raccolta di sei racconti intitolati Mosca più balena edita dalla casa editrice Minimum Fax con la quale ha vinto il Premio Campiello Opera Prima. Nel 2005 un'altra sua raccolta di racconti, Per grazia ricevuta, è arrivata tra i cinque finalisti al Premio Strega. Quest’anno è in gara con il romanzo Almarina (Einaudi, 2019).
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