Quando una donna vince un premio importante può succedere che qualcuno la accusi di aver vinto a causa del suo genere, più che per il suo merito. È accaduto a Julia Ducournau a Cannes, è successo anche nell’edizione della Mostra del cinema appena conclusa con Audrey Diwan. I detrattori che avanzano queste accuse spesso sostengono che le quote rosa siano utilizzate per far giustizia anche negli ambiti legati al merito e al talento. Che quelle donne e le categorie marginalizzate in generale siano caselle da riempire.
Ma riflettiamo su un dato semplice da analizzare: in 78 edizioni del festival veneziano, sono soltanto sei le registe ad aver ottenuto il Leone d’oro (prima di Diwan, Margarethe von Trotta, Agnès Varda, Mira Nair, Sofia Coppola e Chloé Zhao). Non vi sembra quantomeno strano? Davvero in quasi ottanta edizioni ci sono state così poche cineaste meritevoli? E se davvero sono state così poche, come mai è successo? C’entrano forse la difficoltà per le professioniste di arrivare a un livello così alto di competizione, per tutti i motivi che già sappiamo intralciare il percorso delle donne (soprattutto quando parliamo di mestieri storicamente considerati “maschili”)?.
Al di là delle polemiche finali sulla vittoria, quella del 2021 è stata un’edizione della Mostra molto interessante per i film presentati, per i temi affrontati, per i grandi vip che sono arrivati al Lido. La nostra Giulia P. ha trascorso quei giorni proprio lì e, tra un appostamento per rubare una foto dei Bennifer e l’altro, è riuscita anche a entrare in sala.
Quindi, per darvi il bentornato dopo la pausa estiva, vi lasciamo qualche riflessione su cinque film visti a Venezia, che speriamo arrivino presto in tutti i cinema o sulle piattaforme di streaming. Non sono tutte pellicole firmate da registe, ma al centro ci sono personaggi, grandi attrici o temi che abbiamo ritenuto interessanti. Come ormai sapete, siamo grandi fan della cultura pop in generale, per cui insieme a pellicole più impegnate troverete anche filmoni hollywoodiani e piccole chicche più divertenti.
Buona lettura e buona visione!
Una scena del film L’événement
L'événement di Audrey Diwan
Un film che nasce dal libro L’evento di Annie Ernaux (edito da L’Orma) in cui la scrittrice francese, che siamo sicure in molti di voi ameranno, racconta la propria esperienza biografica di quando, nel 1963, decise di compiere un’interruzione di gravidanza in un’epoca in cui l’aborto era ancora illegale in Francia. Il cui rischio, per chi lo subiva, praticava e aiutava, era quello di finire in carcere. Nel film di Diwan, vincitore del Leone d’ora a Venezia, la protagonista si ritrova a ripercorrere gli stessi passi di Ernaux: Anne (interpretata da Annamaria Vartolomei) è rimasta incinta, ma non vuole portare a termine la gravidanza perché desidera finire gli studi e non perdere l’occasione di costruire il suo futuro liberamente e soprattutto lontano dal passato proletario della sua famiglia. La protagonista decide quindi di affrontare la legge e la società che condannano la sua scelta portandoci con lei attraverso le sofferenze fisiche e psicologiche: quello che vediamo, oltre alle questioni pratiche, alle descrizioni precise di ciò che l’attende, è anche il microcosmo intorno a lei, fatto di persone che la giudicano e che per questo si allontaneranno. Le amiche, i coetanei, i ginecologi, la famiglia, i professori. Dall’altra parte lei che con forza e coraggio va avanti.
Sarà distribuito con il titolo 12 settimane a ottobre 2021.
Spencer di Pablo Larraín
Dopo l’amatissimo Jackie, Larraín prosegue nel suo viaggio attraverso le protagoniste femminili. Questa volta è il turno di Diana Spencer (interpretata da Kristen Stewart), una donna che ha non ha bisogno di presentazioni. Se l’ultima stagione di The Crown ce l’ha fatta conoscere come la ragazzina (un po’ viziata) che vuole diventare principessa, nel film presentato in Concorso a Venezia vediamo invece una Lady D adulta e ormai disincantata: è il 1991, sono i giorni di Natale e il suo matrimonio con il principe Carlo è irrimediabilmente in crisi. La famiglia reale, come da tradizione, si trasferisce nel castello di Sandringham per tre giorni di festeggiamenti. Ma l’etichetta da rispettare è quanto di più lontano da una felice rimpatriata: il primo e l’ultimo giorno di permanenza bisogna pesarsi per dimostrare di essere ingrassati e quindi aver trascorso delle belle giornate; le stanze del castello non vengono riscaldate; il dress code è preciso e immodificabile.
Il film di Larraín è intenso e claustrofobico: i personaggi intorno a Diana rimangono sempre sullo sfondo, l’unica protagonista reale è lei, di cui seguiamo le arrabbiature, i pensieri, i vaneggiamenti. Al centro c’è la sua fragilità e la sua ricerca di una via di uscita da una vita che ha scelto, forse senza sapere bene a cosa sarebbe andata incontro.
Nelle sale statunitensi uscirà il 5 novembre 2021.
Les Choses Humaines di Yvan Attal
La dimensione e l’analisi della violenza di genere è stato un tema su cui i film della Mostra del cinema di Venezia hanno indagato in più modi. Il regista Yvan Attal ha deciso di portare in scena quello dell’indagine e del processo attraverso la storia di Alexandre e Mila. Tratto dall’omonimo romanzo di Karine Tuil, il film di Attal diventa anche un vero e proprio affare di famiglia: il regista è infatti il padre di Ben Attal e marito di Charlotte Gainsbourg, rispettivamente il protagonista e sua madre.
Alexandre ha 22 anni, è figlio di un giornalista televisivo e di una intellettuale conservatrice, studia negli Stati Uniti. È un ragazzo arrogante e narciso, ignorato dal padre e sofferente per la separazione dei suoi genitori. A casa del nuovo compagno della madre, ne conosce la figlia, Mila, di diciassette anni e la porta a una festa. Il giorno dopo la giovane donna denuncerà Alexandre per stupro e da lì comincerà una parte di film dolorosa e complessa: uno processo, come molti di cui sentiamo parlare, quello in cui la vita delle donne viene scandagliata nei minimi dettagli, in cui la loro parola non viene creduta, in cui anche un tweet di anni prima può metterne in cattiva luce la reputazione. Ma mostra anche quanto il concetto di consenso sia difficile da trattare in un’aula di tribunale: se non ho detto esplicitamente di no, se non ho urlato, se non ho cercato di fuggire, se mi sono bloccata per la paura e ho aspettato che tutto passasse, l’uomo che ha abusato di me può aver pensato che fossi consenziente? Non è facile rispondere a queste domande e il film di Attal in qualche modo cerca di approfondire questa zona grigia e non senza momenti dolorosi. Le arringhe finali degli avvocati sono pezzi di letteratura magistrali. E alla fine il vero imputato della storia è la cultura dello stupro, machista e sessista, in cui non esiste educazione sentimentale, in cui la mascolinità tossica prevale, in cui per le donne è ancora pericoloso esprimere i propri desideri.
Dal 24 novembre al cinema.
Mona Lisa and the Blood Moon di Ana Lily Amirpour
In una notte di luna piena le cose possono prendere una piega decisamente strana. Una giovane donna dai poteri telepatici, Mona Lisa, fugge da un manicomio e scappa per le vie di New Orleans. L’unica cosa che la giovane, interpretata da Jeon Jong-seo, desidera è la libertà e per ottenerla è disposta anche a fare del male a chi la intralcerà. Nel suo cammino notturno la giovane incontra una spogliarellista (Kate Hudson) pronta ad aiutarla ma solo per il suo tornaconto; il figlio di lei (Evan Whitten), un outsider come Mona Lisa, con cui tenteranno una fuga; un poliziotto dalle buone intenzioni (per i fan di The Office è Darryl, Craig Robinson); e un tamarro dal cuore d’oro (Ed Skrein).
A cinque anni da The Bad Batch, la regista si presenta sul red carpet insieme al suo cagnolino e ci regala un film dalle atmosfere anni ‘80 e una colonna sonora di tutto rispetto. La promessa finale con cui poi si chiude la pellicola è «Ci vediamo nel sequel», come Amirpour fa dire a uno dei suoi personaggi.
La ragazza ha volato di Wilma Labate
Ha debuttato in Orizzonti Extra e anche questo è un film che ha al centro un abuso: La ragazza ha volato racconta la storia di Nadia, sedici anni, un’adolescente che vive a Trieste senza riuscire a creare dei veri legami con i suoi coetanei. Nella città del vento infatti Nadia, interpretata da Alma Noce, vive la sua solitudine, fino all’incontro traumatico con Brando (Luka Zunic). La storia, scritta dai fratelli D’Innocenzo e dalla stessa regista, potrebbe sembrare inizialmente romantica. Ma ben presto le cose cambiano e per Nadia, Brando diventa l’aguzzino che abusa di lei. Chiusa ancora di più nel silenzio di cui si circonda la giovane dopo la violenza, Nadia si trova ad affrontare le conseguenze di ciò che le è accaduto, al punto da trincerarsi ancora di più nell’aggressività. Ma non sarà presto più sola. Una storia dura, raccontata con intensità ed emotività in cui non troviamo un vero happing ending, la città rimane grigia come lo era sempre stata, ma forse più sopportabile.
Cose belle che abbiamo letto in giro
Se non siete riusciti a esserci, vi segnaliamo tre incontri di Festivaletteratura che è possibile recuperare online: la lectio magistralis di Rebecca Solnit e le interviste a Alice Walker e Bernardine Evaristo.
Una lunga intervista a Sally Rooney in occasione dell’uscita in Inghilterra del suo ultimo libro, Beautiful World, Where Are You.
La storia di RAWA, il gruppo afghano più importante per la difesa dei diritti delle donne.
Il ruolo del femminismo bianco nell’invasione dell’Afghanistan.
Uno scoop del Wall Street Journal ha dichiarato che ricercatori interni a Facebook hanno raccolto dati allarmanti sugli effetti di Instagram sulla salute mentale dei suoi giovani utenti, soprattutto delle ragazze.
Si sa ancora molto poco dei possibili effetti collaterali del vaccino da Covid-19 sul ciclo mestruale, ma si stanno iniziando a raccogliere i primi dati. Qui potete partecipare a un questionario da Kate Clancy, professoressa associata della University of Illinois.
Cosa hanno rappresentato le ultime Olimpiadi in termini di inclusività, lotta al razzismo, parità di genere e salute mentale.
Quest’estate siamo andate alla scoperta di una vecchia rubrica della Paris Review: Feminize your canon, che faceva scoprire autrici poco conosciute e poco lette. Ci sono delle storie molto interessanti, potete recuperarle qui.
Cos’è la “Red Zone”, ovvero il periodo più drammatico dell’anno per le violenze sessuali nei campus americani.
Perché la coda nei bagni delle donne è (anche) una questione di sessismo.
Il vero vestito politico del Met Gala, secondo The Atlantic.
Un libro uscito da poco (perfetto anche per la nostra challenge #nonununicastoria): Ladra di parole di Abi Daré, edito da Nord.
A presto,
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