Quante volte vi è capitato di discutere su come le differenze biologiche tra uomo e donna abbiano o meno un’influenza sulla vita quotidiana? Su ciò che ci dovrebbe piacere o per cui dovremmo essere più portate? Questo è uno dei temi che genera più dibattito, perché neanche la scienza, per il momento, ha trovato una posizione chiara in merito.
Esistono, infatti, alcune teorie che provano a dimostrare come il cervello maschile e quello femminile siano intrinsecamente diversi. Ma ne esistono altre, più recenti, che sostengono invece posizioni differenti: l’ambiente in cui cresciamo, la società e gli stereotipi che ci circondano avrebbero un ruolo neuro-costruttivo fondamentale per la determinazione del genere.
Ne parleremo anche nel nostro libro, «Le ragazze stanno bene» (che arriva in libreria tra meno di due settimane, e che potete già preordinare), ma, nel frattempo, è uno dei temi centrali di questa newsletter: abbiamo intervistato (non senza emozionarci) Eva Cantarella, che ci ha raccontato come, proprio a partire dalla differenza biologica tra uomini e donne, siano stati costruiti anche alcuni dei miti che ci sono stati tramandati dall’antichità.
Gli inganni di Pandora di Eva Cantarella (Feltrinelli, 2019)
Il vaso della disparità
Intervista a Eva Cantarella
Scoperchiare il vaso di Pandora. Un’espressione che usiamo tutti i giorni e che si rifà alla mitologia greca, ma in quanti sappiamo bene chi era Pandora e cosa effettivamente racconta il mito giunto fino a noi grazie a Esiodo, poeta-contadino vissuto nel VII secolo a.C.? «La storia di Pandora ci racconta molto del momento in cui, a partire dalle differenze biologiche tra uomini e donne, gli antichi greci hanno iniziato a teorizzare l’inferiorità del genere femminile» ci dice Eva Cantarella, quando la incontriamo nel suo appartamento di Milano. Storica, giurista e sociologa, Cantarella ha insegnato per moltissimi anni Diritto Romano e Diritto Greco all’Università di Milano e nei suoi numerosi libri ha sempre raccontato le società antiche. L’ultimo, edito da Feltrinelli, si intitola proprio Gli inganni di Pandora ed è un viaggio nella mitologia, nella filosofia, nella medicina e poi nella giurisdizione greca alla ricerca dell’origine delle discriminazioni di genere.
«Come racconta Esiodo nella sua Teogonia e poi Eschilo nel Prometeo incatenato (una tragedia andata in scena intorno al 470 a.C. ndr)» ci spiega «Pandora viene mandata sulla Terra per punire gli uomini di una colpa commessa da Prometeo: quella di aver sottratto il fuoco agli dei per donarlo agli esseri umani». Tanti considerano Pandora “l’Eva greca”, ma le differenze con la prima donna biblica sono molte: prima di tutto, Eva viene creata per intrattenere l’uomo e non per punirlo, come nel caso di Pandora; in secondo luogo, mentre Eva è creata a partire da una costola di Adamo ed è quindi fatta della sua stessa materia, Pandora è un prodotto artigianale - fatto di acqua e di terra - progettata ex-novo dagli dei e costruita da Efesto. Premesse diverse, ma risultato simile: le donne sono state discriminate tanto dagli antichi greci quanto dai cristiani. «Perché le questioni alla base sono le stesse: la paura e l’invidia, e precisamente la paura e l’invidia nei confronti della nostra capacità di generare vita. Anche questo possiamo desumerlo molto chiaramente dai miti, quello di Zeus e Metis, ad esempio. Zeus è l’unico figlio sopravvissuto al padre (Crono, che come sappiamo mangiava tutti i suoi discendenti per paura che lo spodestassero). Con l’aiuto di Metis (l’astuzia femminile, appunto) Zeus riesce effettivamente a sconfiggere il padre, ma quando lei gli confessa di essere incinta, per paura di essere detronizzato a sua volta dall’erede, lui cosa fa? Si mangia Metis e futuro nascituro tutto in una volta. Una specie di tentativo di appropriarsi della maternità, come farà anche con l’amante Semele, del cui feto si impadronirà per inserirlo nella propria coscia e dare vita a Dioniso».
Chiaramente la paura nei confronti della capacità riproduttiva della donna è dovuta anche alle scarse conoscenze mediche e anatomiche dell’epoca. Se saltiamo avanti di qualche secolo rispetto al mito di Esiodo, in Grecia troviamo Ippocrate e il suo Corpus Hippocraticum, che contiene ben dieci trattati (sui circa sessanta che lo compongono) dedicati alla ginecologia. «Per quanto Ippocrate sia considerato il padre della Scienza Medica, dobbiamo tenere conto del fatto che la medicina dell’epoca ignorava quasi completamente l’anatomia interna. Immaginiamoci cosa potevano pensare del sangue mestruale!». Una delle tante credenze errate, ad esempio, era che se una ragazza restava vergine troppo a lungo il sangue mestruale potesse accumularsi nel corpo e causare una sorta di epilessia. Ecco perché era indicato sposarsi molto giovani. «D’altronde, nella società greca il ruolo della donna era quello di moglie e madre. Una donna nubile non aveva alcun ruolo famigliare», spiega Cantarella. Eccolo che arriva inesorabile: il destino biologico delle donne. «Parliamo di millenni fa, eppure le cose non sono cambiate. Ai miei tempi, quando mi iscrissi a Giurisprudenza, ricordo di aver sentito alcuni amici di famiglia - pur essendo persone di cultura vicine a mio padre (il padre era il grecista e bizantinista Raffaele Cantarella, ndr) - dire che le donne non dovevano fare i magistrati perché nei giorni delle mestruazioni non sarebbero state in grado di giudicare imparzialmente. Oppure l’idea dell’istinto materno. Io sono stata sposata per tutta la vita, ma non ho mai avuto, neppure per un secondo, il desiderio di fare un figlio. Non mi sono mai sentita meno donna per questo».
Eppure, le oggettive differenze biologiche tra uomo e donna sono ancora oggi uno dei punti più ostici da superare quando si parla di parità di genere. Proprio come accadeva nell’Antica Grecia, dove il pensiero logico non fece altro che rafforzare l’idea mitica della diversa natura tra uomini e donne. Posto che i figli nascevano dal corpo femminile, i filosofi greci presero a interrogarsi sul contributo della donna nella procreazione, dal quale dedussero anche il ruolo in famiglia e nella vita politica. «E anche a distanza di millenni, delle loro idee in materia non solo resta traccia nelle discriminazioni che tutt’oggi esistono, ma si trovano ancora delle persone che sembrano condividerle, con possibili conseguenze non poco gravi, delle quali mi sembra che le nuove generazioni non si rendano molto conto. Pensiamo all’aborto: paragonare un feto a un soggetto giuridico, dire che chi sceglie l’interruzione di gravidanza è un assassino, è un atto gravissimo. Un atto che continua a relegarci nel ruolo di madri e a escluderci dalla vita economica e politica, e quindi da ogni forma di potere». Donne passive, donne oggetto: anche Aristotele - che pure riconosceva la necessità della materia femminile (passiva rispetto al seme maschile, attivo) per la procreazione - diceva «Il maschio rispetto alla femmina è tale che per natura l’uno è migliore, l’altra peggiore, e l’uno comanda, l’altra è comandata». Non è difficile immaginare come tutto questo si traducesse sul piano giuridico: un mondo in cui il matrimonio era solo un contratto (e in cui il divorzio, per quanto previsto anche su istanza della moglie, rappresentava per la parte femminile un tale disonore da non venire mai di fatto applicato), in cui i crimini sessuali come l’adulterio e lo stupro erano considerati fonte di disonore per il marito (e mai atti criminosi contro la persona) e in cui le donne erano ovviamente discriminate anche sul piano matrimoniale. La cosa più interessante forse è la strana idea di monogamia che avevano gli uomini greci: potevano avere una sola moglie, con cui mettere al mondo figli legittimi, ma avevano diritto anche a una concubina per avere rapporti sessuali stabili, e a un’etera, ovvero una donna istruita, brava a cantare, ballare e suonare, ammessa ai simposi degli uomini per intrattenerli (anche sessualmente, ma solo a pagamento). Una vera e propria professione, «che consentiva agli uomini di non escludere nessuna possibilità. Se consideriamo anche l’eromenos (il giovane con cui ogni uomo adulto intratteneva una relazione amorosa, ndr), gli uomini greci potevano avere tutto». Mentre se pensiamo alle donne, solo le eteree potevano aspirare a un’istruzione. Già tra i filosofi greci qualcuno era arrivato a capire che le differenze tra uomini e donne erano perlopiù di natura culturale. Socrate, per esempio, o il cinico Antistene; ma queste erano idee molto poco diffuse: anche Platone, che nella Repubblica teorizza un mondo in cui le donne sono emancipate dal loro ruolo familiare, nella sua ultima opera - le Leggi - torna a giustificare la discriminazione e la subalternità femminile per ragioni biologiche e naturali.
«Per le donne romane, invece, le cose miglioreranno. Alle figlie dell’aristocrazia, ad esempio, veniva garantita un’istruzione. E c’erano delle sacerdotesse che avevano un ruolo molto importante. Ma questo accadde solo per alcuni dei lunghi secoli della storia romana, e comunque (al di là del fatto che di questi diritti di fatto godevano solo le donne appartenenti alle classi privilegiate) questo non significa che il mondo romano fosse un mondo paritario. Sicuramente, però, era meglio di quello greco». Ed è curioso, perché a volte vediamo additare il Cristianesimo come l’inizio di tutti i mali per il divario di genere, che invece, come abbiamo visto, ha radici molto più profonde. «Qualcuno addirittura parla di matriarcato storico, ma il matriarcato non è mai esistito. Magari le donne etrusche erano più emancipate di quelle greche, ma di certo non avevano un potere pari a quello dell’uomo». Ecco l'importanza della Storia, che non torna mai allo stesso modo ma che aiuta sempre a capire il presente. «Prendiamo il personaggio di Antigone: se la guardiamo nell'ottica del suo tempo, Antigone era una persona che anteponeva l'interesse familiare a quello democratico della Polis e di Creonte (che la rappresentava). Oggi invece si parla di lei come di un'eroina ribelle, un esempio di donna forte che non si piega al potere, facendo quella che oggi chiameremmo un’obiezione di coscienza».
[Questo articolo è stato aggiornato in data 24/02/2020]
Eva Cantarella ha insegnato Diritto Romano e Diritto Greco all’Università di Milano ed è global visiting professor alla New York University Law School. Nel 2002 è stata nominata Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Gli inganni di Pandora (Feltrinelli, 2019) è il suo ultimo libro.
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