È una sensazione che può essere comune in alcuni momenti della nostra vita. Che sia legata a una difficoltà, a un trauma, a una condizione fisica: quelle situazioni in cui ti guardi e ti vedi ferma, immobile. O peggio. Arrivi a toccare il fondo, come si suol dire. Ma, in quel momento, non riesci a farne a meno.
Balena, il romanzo/memoir di cui leggerete qui sotto un estratto, parla di questo. Racconta di una bambina che perde il padre all’improvviso e che a quello shock risponde con la propria personale elaborazione del lutto: mangiando. Andando a riempire di cibo un vuoto enorme. Nel libro, poi, si parla anche di bullismo, della rappresentazione dei corpi grassi nella nostra società e, tra le pagine, c’è anche una riflessione sulle dinamiche dell’attivismo da social network, tra performance e realtà.
Oltre all’estratto che la casa editrice Nottetempo ci ha permesso di condividere con le lettrici e i lettori di questa newsletter, troverete alcune domande che abbiamo fatto all’autrice, Giulia Muscatelli, esordiente e amica di questo progetto (i più affezionati probabilmente ricorderanno quando scrisse per noi in occasione dell’8 marzo 2021).
Buona lettura!
Balena di Giulia Muscatelli. Arriva oggi in libreria per Nottetempo
L’unica speranza concessa alle balene
Un estratto
“Mamma, sto male, mi sa che ho la febbre,” provo a dire la mattina dopo quell’umiliazione da parte di Anna. Me ne sto immobile nel letto, per evitare le prese in giro, per evitare di infilarmi un paio di jeans e scoprirli – all’improvviso e ancora – troppo stretti, per evitare la strada verso scuola, le automobili, le pietre e i marciapiedi pronti a giudicarmi uno dopo l’altro. Non risponde, passa davanti alla mia stanza e con la mano mi fa cenno di muovermi, poi va a vestirsi. A lei non ho potuto confessarlo, non ho potuto dire che Anna e Gaia non fanno altro che darmi della cicciona e che ogni loro presa in giro è come un pugno nella pancia, nella mia pancia enorme. Non ho potuto confessarlo perché le avrei dato un dolore e più di qualsiasi altra cosa io non voglio fare male a mia madre. Mi alzo e vado verso la cucina. Ignoro la colazione pronta sul tavolo: la tovaglietta del Libro della giungla, la tazza di Trilly, la Camilla aperta, senza confezione, “che così sembra un dolce di pasticceria,” ripeteva mia madre.
Arrivata sulla soglia del balcone, mi spoglio. Mi nascondo nella parte più riparata in modo che nessuno, da sotto, possa vedermi. Mentre la punta del naso inizia a congelarsi e le dita quasi non le sento più, penso a quanto intelligente è il mio corpo. Lì, nuda, con una temperatura di due gradi, provo per la prima volta un senso di riconoscenza nei suoi confronti. Quando la pelle viene esposta al freddo, le prime parti che si congelano sono mani, piedi e naso. Accade perché l’ipotalamo è impegnato a proteggere da subito gli organi vitali, cuore e polmoni, e il flusso del sangue si sposta nella parte centrale, tralasciando le estremità. In quel momento il mio corpo è intelligente, almeno quanto lo sarebbe stato nel corso dei tre anni successivi, quando allargandosi a dismisura mi avrebbe permesso di nascondere sotto ammassi di grasso tutto quello che accadeva all’interno della mia testa.
Poi non riesco più a sopportare il gelo e rientro in casa, correndo sotto le coperte di nuovo. Chiamo mia madre e la prego di misurarmi la febbre, convinta che mi sia già salita. La temperatura segna un misero 36.4°, e lei mi dice ancora una volta di sbrigarmi. È un’ingiustizia: se neanche il dolore fisico è sufficiente come scusa per non affrontare quello che mi fa paura, quale altra arma ha una come me, una balena?
Forse le cose cambieranno quando mi arriveranno le mestruazioni. Una volta, durante una cena di famiglia, una delle mie cugine più grandi ha raccontato che avere il ciclo è una vera figata e, quando le ho chiesto il perché, ha risposto che se hai il ciclo tutti credono tu sia un’ameba e ti lasciano in pace se dici di non voler fare una cosa. Mi chiedo quando arriverà il mio turno. Lancio il piumone sul pavimento, mi abbasso i pantaloni del pigiama, poi le mutande e con due dita mi faccio spazio tra le grandi labbra, per scrutare la mia vagina. Mentre sono piegata in quel modo, con la schiena inarcata in avanti e le dita dei piedi puntate sul materasso, guardo i rotoli della mia pancia: uno, due, tre – sì, tre, anzi no, tre e mezzo, praticamente quattro. Allora mi tiro su le mutande di fretta, rimetto i pantaloni, recupero il piumone e mi copro fino alla testa. Che cretina, che scema! Alle ciccione non viene il ciclo, le ciccione non diventano donne vere!
In nessuna serie televisiva o film compariva mai una ragazza grassa e felice. Tutto quello che guardavo raccontava di giovani donne, felici o anche infelici, magari povere, magari figlie di alcolizzati o drogate, persino orfane, ma mai grasse. Chi scriveva le storie che credevo di amare eliminava dalla narrazione quelle come me. E non vedendo gente simile a me, anche io pensavo di non esistere, o meglio: pensavo di essere l’unico esemplare della mia specie. Come forse avrebbe voluto credere mio padre, quando mi chiedeva degli uomini anziani, alti ed enormi. Se i corpi non vengono rappresentati nella loro pluralità, i corpi lasciati indietro non possono far altro che scomparire. Certo, oggi, esattamente come nel caso dei post di Instagram sulla body positivity, la situazione è in parte mutata, oggi vediamo corpi di ogni tipo. Ma non è sufficiente rappresentarli attraverso vicende che li problematizzano; sarebbe necessario, invece, raccontare qualunque storia – commedie, drammi, horror, fantascienza o qualsiasi altro genere – con personaggi che semplicemente abitano corpi diversi. Se si guarda una commedia romantica, per esempio, e la protagonista è in sovrappeso, nella maggior parte dei casi il suo corpo, il rapporto con il suo corpo, farà parte dell’intreccio, spesso sarà una componente fondamentale, o nella prospettiva del coraggio di mostrarsi come si è o in quella della rinascita, del perdere peso.
Diversamente da quando ero ragazzina, da quando ero Balena, oggi esistono molte narrazioni con protagoniste persone non standardizzate, ma la loro diversità, appunto, è sempre al centro della questione. Quasi come a dire che se sei grassa è impossibile che la tua vita non giri intorno a quell’aspetto, perché le magre possono parlare di tutto, mentre le grasse possono parlare solo del grasso. Le magre affrontano le più disparate tipologie di problemi, le grasse hanno sempre la stessa difficoltà: la bilancia. Le magre piangono per i figli, i soldi, l’amore, la carriera; le grasse si disperano per la cerniera, perché non entrano in un tubino o perché qualcuno le ha prese in giro. E alla fine le Balene rimangono spiaggiate, con l’unica possibilità – l’unica speranza concessa alle Balene – di essere trovate e salvate: dall’audience di buon cuore, da un Grammy progressista, persino da un uomo o da una donna che le ami. “Guarda che carina quella che ce l’ha fatta nonostante sia enorme,” mi sembra ripetere il mondo.
Qualche domanda all’autrice
Giulia, ci spieghi come mai hai scelto questo estratto?
Perché questo è uno dei punti in cui Balena riflette non soltanto sul suo corpo ma anche sul contesto che la circonda che la spinge ad odiarsi e giudicarsi di continuo. Come spesso accade nel libro, anche in questo estratto le considerazioni del passato si mischiano con quelle del presente. - come descriveresti Balena a chi non la conosce? Ci sono due Balene, quella che sono stata da ragazzina e quella che sono oggi. La prima viveva sott’acqua, nascosta e ferita, in perenne ricerca di uno spazio in cui perdersi e forse anche dal quale non tornare mai più. La seconda, la Balena che sono oggi, conserva il ricordo di chi è stata con estrema cura e dolcezza; di quegli anni di sofferenza ha fatto tesoro e adesso non ha più paura di mostrarsi oltre la superficie dell’acqua, non le importa più dei giudizi degli altri che dalla spiaggia stanno a guardare. Balena è la bestia che vive dentro ciascuno di noi, quel dolore così acuto che, se curato, si può trasformare in desiderio.
“Balena” ha la forma di un memoir. Come mai hai scelto questo genere narrativo e come hai affrontato l’idea di mettere al centro una storia così intensa e intima?
Non l’ho scelto, è stato lui a scegliere me. Lavoro a questo libro da molti anni e per tanto tempo ha avuto la forma di un romanzo ma qualcosa non funzionava. Da sola non sarei mai riuscita a capire cosa, poi, grazie all’aiuto e al talento del mio editor, ho compreso che c’era solo un modo di raccontare la storia: dire la verità, calarmi al suo interno con distacco e onestà. Non ho scritto Balena convinta che sarebbe stato pubblicato, o almeno, non ho mai lavorato solo per quello. Certamente desideravo che trovasse dei lettori e delle lettrici, sarei ipocrita se non lo ammettessi, ma non era centrale nel mio lavoro. Io volevo prima di tutto scrivere una storia onesta. Quando poi ho capito che la mia storia sarebbe arrivata agli altri in questa forma, mi sono detta che non era più il tempo di scappare e ho anche realizzato che il motivo per cui amo scrivere è, soprattutto, generare e trovare empatia; se per farlo devo sacrificare una parte della mia vita più intima, ben venga, è un sacrificio che non mi pesa, al contrario, mi riempie il cuore di gioia.
A che punto siamo, secondo te, con la rappresentazione del corpo delle persone grasse nell’industria culturale? Per molto tempo i corpi grassi sono stati quasi inesistenti, o avevano una funzione comica. Poi sono stati “cannibalizzati” dalla body positivity e dal marketing. E oggi come siamo messi?
È proprio come dite voi, e oggi stiamo messi male, o almeno, stiamo messi con un enorme confusione nella testa. Intanto “corpo grasso” sembra voler dire qualcosa di diverso a seconda di chi affronta l’argomento e poi non c’è alcuna distinzione tra il corpo grasso e sano e le patologie derivanti dai disturbi alimentari; non tutti i corpi grassi hanno dei problemi o sono malati e non tutte le persone grasse sono grasse e felici di esserlo, e per loro non è obbligatorio essere fiere dei corpi che abitano per essere “migliori”. Mi rendo conto sia molto difficile come argomento perché ogni caso è davvero differente dall’altro ma è proprio in nome di questa complessità che bisognerebbe smetterla di cercare facili soluzioni o facili slogan. Se prendo ad esempio la mia esperienza, io sono stata una ragazzina obesa ma il grasso non aveva nulla a che fare con la mia patologia, il cibo era solo un modo che avevo trovato per sfogare la mia sofferenza; ecco, vista così la questione va oltre il “corpo grasso”. Rimane però, purtroppo, un dato oggettivo: per strada, sui social, in televisione i corpi grassi non vengono mai rispettati e spesso derisi. Fino a quando la cultura non cambia, non cambieremo questi atteggiamenti.
Una cosa che hai imparato lavorando a questo libro?
Ho dovuto imparare molto prima di scriverlo, perché non avrei mai potuto raccontare questa storia se prima non avessi compreso e accettato quello che mi era capitato. Adesso mi auguro di imparare qualcosa dai lettori e dalle lettrici, anzi, non vedo l’ora di imparare da chi mi leggerà!
Giulia Muscatelli (Torino,1989) si occupa di progetti di comunicazione per le aziende, di archivi e musei d’impresa. È consulente per la direzione creativa e artistica di alcuni centri culturali della sua città. Scrive articoli di approfondimento per diverse testate. Balena è il suo primo romanzo.
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