Settembre è arrivato e con lui torna anche la newsletter dopo la pausa estiva. È stata un’estate molto piena, per noi, tra viaggi e lavoro. Quando abbiamo potuto, abbiamo fatto in modo di staccare il più possibile e ricaricare le batterie: ci aspettano mesi intensi, e non solo a livello personale.
È stata una stagione ricca di avvenimenti importanti per le donne di tutto il mondo (da quelle di San Marino, dove è stata approvata un’importante legge sull’aborto, a quelle scozzesi che hanno visto riconosciuto il diritto ad avere assorbenti gratuiti, fino a quelle cilene, che purtroppo hanno visto svanire la possibilità di avere una delle costituzioni più femministe al mondo). Qui, come saprete, siamo nel pieno di una campagna elettorale; mancano pochissimi giorni alle elezioni.
I pronostici danno per vincente il partito di Giorgia Meloni, che potrebbe essere la prima premier donna in Italia. Questo ha acceso un grande dibattito, sui giornali, sui social e negli ambienti femministi; la domanda è: la vincita di una donna come Meloni sarebbe una vittoria o una sconfitta per le donne?
Sulla questione si sono espresse moltissime pensatrici, filosofe e giornaliste con visioni diverse tra cui Ida Dominijanni, Rosi Braidotti e Lucetta Scaraffia (vi consigliamo questo articolo del Post che riassume il dibattito e le diverse posizioni espresse). Abbiamo seguito con interesse la discussione e oggi ne parliamo con la giornalista Marianna Aprile.
Un frame del video realizzato nel 2015 dalla rivista Elle, all’interno della campagna #MoreWomen. Un progetto nato per mostrare come sarebbero i luoghi di potere senza gli uomini.
Femmine e femministe alle elezioni
Intervista a Marianna Aprile
Il panorama politico attuale ci porta a pensare che dal prossimo 26 settembre avremo la prima premier donna nella storia del nostro paese, Giorgia Meloni. In questi giorni si sta dibattendo molto sui giornali e nei talk show su quanto questa possa essere considerata una vittoria per le donne e per il femminismo. Qual è la tua opinione in merito?
Ci fu una polemica simile quando l’attuale ministra della Giustizia Marta Cartabia divenne la prima donna Presidente della Corte Costituzionale. Qualcuna considerò quel traguardo rilevante per Cartabia ma irrilevante per le donne, a causa delle posizioni conservatrici di Cartabia sui nuovi diritti e su altri temi cari al femminismo. L’assunto di fondo di questa e delle polemiche su Meloni a Palazzo Chigi è: la cultura patriarcale e conservatrice è ciò contro cui si battono le donne per rivendicare parità e diritti, quindi se una donna conservatrice raggiunge una posizione di potere per le altre donne è comunque una brutta notizia. Personalmente, credo che sia una visione miope e persino un po’ pericolosa. Per una serie di ragioni. Primo, sminuisce l’esempio: indipendente dalle convinzioni di Cartabia, il fatto che sia stata Presidente della Consulta dimostra comunque alle giovani donne che quel posto non è appannaggio solo degli uomini. E non è cosa da poco. Secondo: far passare l’idea che i traguardi di una donna siano o meno da festeggiare in base al suo orientamento sottopone le donne a un pregiudizio che prescinde dai meriti professionali che hanno condotto a quel traguardo. E rinforza l’idea delle battaglie femministe come battaglie di parte, di una parte. L’obiettivo credo invece debba essere far capire che sono battaglie che se vinte migliorerebbero la vita di tutti, donne e uomini, conservatori e non. Se Giorgia Meloni arrivasse a Palazzo Chigi – e ci arriverebbe per meriti suoi, non per concessione di un leader - sarebbe una riga in meno nell’elenco degli incarichi apicali finora preclusi alle donne. Sarebbe quindi una buona notizia. Un’altra buona notizia sarebbe avere la possibilità di contestare una donna di potere per le sue idee, proprio come si fa con gli uomini di potere.
Recentemente proprio a In onda insieme a te Elly Schlein ha ribadito un concetto molto importante, quello della differenza sostanziale tra una leadership femminile e una leadership femminista. Sei d’accordo con questa posizione?
È una distinzione utile, sacrosanta e fondata. A patto di non ritenere che una debba necessariamente escludere l’altra, che una leadership femminile non possa essere considerata una vera leadership se non è anche femminista. Chiariamo: vivere abbastanza a lungo da poter vedere e votare una leader femminista è anche il mio, di sogno. E anche io sospetto che una serie di conquiste delle donne (e di tutti gli altri anelli deboli di questo Paese) correrebbero il serio rischio di esser rimesse in discussione dalla cultura conservatrice di cui Meloni è portatrice. Ma questo nulla toglie ai meriti della Presidente di Fratelli d’Italia. Una leadership femminile, se come quella di Meloni si è costruita e non si è ereditata, è un esempio a prescindere. Dimostra che la politica non è un affare da donna solo fino a un certo livello, oltre il quale “carina, spostati, che ora giocano i grandi”. Perché la prossima leader donna sufficientemente forte da ambire a Palazzo Chigi sia anche femminista, serve che anche nell’altra metà del campo le donne si mettano in gioco davvero, iniziando ad affrancarsi prima di tutto dal meccanismo che le inchioda ai destini e alle volontà dei leader del loro partito o delle loro correnti. Meloni lo ha fatto: non ha ritenuto fosse una cosa da uomini fondare un partito, farlo crescere, difenderlo (spesso anche dall’indifendibile), convincere gli elettori della propria proposta politica. Quante a sinistra hanno il coraggio di farlo?
Concita De Gregorio su Repubblica qualche settimana fa scriveva: «Perché proprio la destra maschilista e misogina esprima l’unica candidata con potenziale di successo, è una buona domanda, rilevante non solo per la cronaca». Tu hai delle risposte da suggerirci?
Non ne ho. Anche se sospetto che questa “timidezza” delle leadership femminili a crescere a sinistra possa dipendere dal fatto che le battaglie femministe siano state a lungo di parte e di nicchia. Per mille ragioni, una volta ottenuti divorzio e aborto (per fare due macroesempi), è come se il discorso femminista si fosse ritirato nella convegnistica, avesse smarrito la sua vocazione universalistica, virando verso un impegno quasi di settore, una battaglia delle donne condotte da donne. E neanche tutte, viste le divisioni ideologiche nel “fronte femminista”. Difficile che questo approccio produca leader.
Questo è un momento storico in cui famiglia, sessualità, genere e uguaglianza sono diventate terreno di scontro internazionale e sembra che solo le destre riescano ad avere idee forti e convincenti (anche se reazionarie) su questi temi. Perché succede?
Le idee conservatrici sono più “forti” per natura, perché dividono il mondo e la società in uno schema che ignora sfumature, che resiste alla naturale evoluzione di costumi e cultura. Se per raccontare il mondo (che c’è o che vorresti) usi il concetto di barriera tutto diventa facile, per te e per chi ti ascolta. Tutto diventa “o di qua” “o di là”, come se nel mezzo non ci fosse nulla che valga la pena considerare, tanto meno difendere. E invece è nel mezzo che le società combattono le battaglie che le rendono vive e in grado di cogliere e accogliere i cambiamenti. Se invece il tuo metro di misura del mondo è la libertà, il tuo messaggio si fa necessariamente più articolato, sfumato, più difficile da cogliere. La platea disposta a “fare la fatica” di ascoltare un ragionamento è per natura più ristretta di quella pronta a farsi convincere da uno slogan. La grande sfida per chi vuole contrastare i rigurgiti oscurantisti cui assistiamo in Italia, Europa e Stati Uniti poggia innanzitutto sulla comunicazione. Che va resa “edibile” anche per chi non è più o non è mai stato abituato a relazionarsi con questi temi. Ci sono almeno un paio di generazioni che i diritti hanno potuto darli per scontati, acquisiti, non hanno dovuto conquistarli. La sfida è far capire che vanno difesi, che è necessario vigilare, e che le nostre decisioni possono avere conseguenze anche su quelli.
Un’altra cosa che ci chiediamo è: secondo te, se Meloni diventasse veramente Presidente del Consiglio, il suo partito la sosterrebbe davvero o potrebbe essere stata uno strumento per arrivare al vertice ma da levare di mezzo una volta raggiunto il risultato? In sostanza, il nostro Paese sarebbe veramente pronto ad avere una donna Presidente?
Fratelli d’Italia non è il partito di Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia “è” Giorgia Meloni. È un partito personale, checché ne dica la diretta interessata. Lo è come è stata Forza Italia con Silvio Berlusconi o, nel suo piccolo, Italia Viva con Matteo Renzi. Fratelli d’Italia fatica a esprimere una vera classe dirigente (come ha dimostrato con la difficoltà a individuare candidati di rango per le amministrative di Roma e Milano, per esempio) non solo perché è cresciuta troppo in fretta ma anche perché è cresciuta attorno a Giorgia Meloni e a un ristrettissimo numero di persone a lei molto vicine e molto fedeli. Dubito che il partito potrebbe mai voltarle le spalle. Se la coalizione di centrodestra vincerà le elezioni e Fratelli d’Italia prenderà più voti dei partiti alleati, il nome su cui dovrà esprimersi il presidente Mattarella sarà quello di Giorgia Meloni. Se alla fine non sarà lei ad andare a Palazzo Chigi potrà essere solo per decisione di Mattarella o per una diversa valutazione della stessa Meloni, non certo per un voltafaccia del partito nei confronti della sua madre-padrona.
Marianna Aprile è giornalista al settimanale Oggi, opinionista e conduttrice a La7 e conduttrice a Radio1 (Forrest, dal 12 settembre). Ha scritto un saggio per Piemme (Il grande inganno) e un romanzo per La Nave di Teseo (In balia).
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Mercoledì 28 settembre torna il nostro bookclub in collaborazione con la libreria Verso di Milano. Parleremo del libro Matrimonio in cinque atti di Leah Hager Cohen (Sur), di cui abbiamo parlato in anteprima anche con l’editor Dario Matrone e con la traduttrice Elisa Banfi. Qui potete leggere la nostra conversazione (e anche scoprire come partecipare al bookclub).
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