«Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio».
Il 2 giugno 1946 le donne italiane votavano per la prima volta in un’elezione nazionale e venivano invitate a farlo «senza rossetto», come scriveva il Corriere della sera quel giorno. Un gesto, connotato per genere, che poteva render nullo un voto così importante (era per il referendum Monarchia contro Repubblica). Da quell’articolo è nato il nome del nostro progetto. Da quel frammento letto in un pomeriggio in una mansarda torinese.
Oggi Senza rossetto compie 7 anni e abbiamo deciso di ricordare da dove siamo partite: i tre racconti scritti e letti da Violetta Bellocchio, Annarita Briganti e Annalisa De Simone, per l’occasione illustrati da Giada Maestra. Molte e molti di voi avranno ascoltato quelle puntate realizzate nel 2016, ma magari per qualcuno è l’occasione per scoprirle. Ancora non riusciamo a credere a come tre autrici pubblicate si siano fidate a tal punto della nostra idea, da partecipare a un progetto con due sconosciute appena uscite da scuola. Dalla loro generosità e da quella di molte altre persone, la famiglia di Querty in primis, è nato tutto questo.
In questi 7 anni abbiamo cambiato città, lavoro, fidanzati. Fatto viaggi, scritto un libro e presentato una miriade di eventi. Un grazie di cuore a tutte le persone che sono state al nostro fianco e a tutte e tutti voi che continuate a seguirci.
Buona festa della Repubblica!
Nonna
di Violetta Bellocchio
Luisa è l'ostetrica di condotta in una zona che comprende 56 paesi: questo vuol dire che quando una donna sta per partorire, nel raggio di 30 chilometri, tocca a Luisa, è lei che deve uscire di casa. Qualcuno le fa arrivare la notizia, perché in casa non c'è il telefono. Bussano alla porta, la fanno chiamare e dicono dove andare. Giorno e notte. Luisa va in giro in bicicletta, di giorno e di notte. Si porta dietro una borsa con i ferri del mestiere, come il fonendo, uno strumento simile allo stetoscopio che serve per ascoltare il battito e i movimenti del feto.
C’è la guerra. Suo marito è sotto le armi e ha avuto, lei, una bambina nel 1942. Non ci pensa. Lei va avanti. Tutto è un rischio. Tutto può essere pericoloso. Lei pedala. Va avanti. Va a lavorare. La cosa importante per lei lavorare. Lavorare bene.
Un giorno un medico visita una donna senza prima lavarsi le mani. Luisa denuncia quel medico.
Nell'arco della seconda guerra mondiale farà nascere più di 1000 bambini. Non perde mai una donna o un bambino. Luisa è molto orgogliosa di questo, è il suo lavoro.
Luisa a volte si trova davanti a quello che resta dopo un aborto. Vede donne morire per un aborto illegale, fatto male. Non ne parla con nessuno, ci sono cose di cui non si parla molto, sono cose che succedono e basta.
La ragazza con la collana
di Annarita Briganti
Ho poco più di vent’anni e mi avevano ordinato: «Senza rossetto in cabina elettorale». Dovevamo chiudere la scheda con la lingua e qualcuno non voleva – non si sa chi – che si distinguessero i voti delle donne da quelli degli uomini. Cosa sarebbe successo, se avessero capito che si trattava della preferenza di una di noi? E gli uomini, non potrebbero metterlo anche loro il rossetto? Sai cos’ho fatto, amore? L’ho portato, di nascosto, nella borsetta a mano. L’ho spalmato varie volte, ridendo da sola, come una scema, mentre, dietro un paravento leggero come una piuma, formalizzavo il mio sì alla Repubblica. L’ho stampato forte sulla scheda, l’ho baciata, perché il colore ciliegia delle mie labbra si vedesse di più, sulla carta, sbavando, nello sforzo di marchiarla il più possibile. Quando ho passato la scheda al presidente del seggio, sorridendo, dietro gli occhiali da sole, il tipo non ha avuto il coraggio di dirmi niente.
Ho poco più di vent’anni e vengo eletta all’Assemblea Costituente. Credevo che avrei scritto un libro e invece, la mia opera più famosa sarà la Costituzione.
Ci abbiamo provato, amore. Quando te ne sei andato, non ho mai abbandonato il paese né la nostra “fede”. Avevo gli italiani, che mi volevano bene. C’era Marisa. C’erano le mie amate collane e quel rossetto del 1946, che ho sempre conservato in un cassetto della camera da letto, il mio amuleto, il nostro unico segreto.
La scheda
di Annalisa De Simone
Le nuvole fanno ombra sulla finestra e la faccia del nonno è in controluce. Una maschera di rughe. Ha ancora tanti capelli, più gialli che bianchi, le orecchie e il naso enormi. Non l’ho mai vista piangere in quel modo, dice. Lo interrompo: nonno, scusa non capisco. Quando è entrata in cabina! urla come se non lo avessi ascoltato. Ma quale cabina? Elettorale, quando è entrata in cabina elettorale per la prima volta. Io ero dietro di lei. Nonna ha preso il lapis e il foglio, è andata dietro al separé, è uscita, ha consegnato la scheda, ha aspettato che salissimo in macchina ed è scoppiata a piangere. Non sai le lacrime quanto erano grandi; unisce il pollice all’indice per indicarmi la misura di una noce. Dopo tutte le battaglie, dopo che era andata a prendere le donne a casa per convincerle, dopo che aveva fatto un documento insieme alle altre da dare al governo, e dopo il comitato... annuisce, come se avesse detto tutto. Cosa? chiedo. È entrata in cabina e si è scordata di segnare una croce su Repubblica. Si è resa conto che la scheda era bianca solo mentre la faceva scivolare nella scatola di cartone. Mi ha fatto giurare di non raccontarlo a zia Turinda. È stato il nostro segreto.
A presto,
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