Quando le parole di un altro entrano nella tua coscienza a quel modo, diventano piccoli fari concettuali. Non devono essere per forza fari illuminanti. Un fiammifero acceso in un corridoio buio, la brace di una sigaretta fumata a letto in piena notte, la cenere ardente di un fuoco quasi spento: nessuna di queste cose brilla di una luce forte per rivelare alcunché. E lo stesso è per le parole altrui. Ma talvolta una piccola luce può renderti consapevole del mondo buio e ignoto attorno a quel bagliore, dell’enorme ignoranza che avvolge quel che crediamo di conoscere. E quell’ammissione, quel venire a patti con l’oscurità è più prezioso di tutta la conoscenza che potremo mai accumulare.
Ci sono alcuni libri che ci portiamo dentro, come «piccoli fari concettuali», per usare le parole di Valeria Luiselli. Li leggiamo, ci riconosciamo e, una volta che li abbiamo terminati, non siamo più le stesse persone. Uno di questi libri per noi è stato proprio Archivio dei bambini perduti, il romanzo di Luiselli, portato in Italia da La Nuova Frontiera. Un titolo in cui la realtà, quella dei bambini scomparsi al confine tra Messico e Stati Uniti, si mischia al viaggio personale di una coppia, il cui tempo insieme sta ormai per scadere.
Così abbiamo conosciuto La Nuova Frontiera, una piccola casa editrice romana che sta collezionando, uno dietro l’altro, molti libri che abbiamo letto e amato (come La figlia unica di Guadalupe Nettel). Per questo li abbiamo contattati e fatto due chiacchiere con loro.
Nell’intervista che trovate di seguito, Marta Silvetti, redattrice e responsabile della comunicazione social, ci racconta la storia e la filosofia dietro le loro scelte editoriali. E ci ha dato anche qualche consiglio perfetto per la nostra challenge di lettura #nonununicastoria.
Marfa con i libri de La nuova frontiera (foto di Ludovica)
Mettere in discussione la nostra idea dell’altro
Intervista a Marta Silvetti di La nuova frontiera
Come è nata e da chi è composta la casa editrice La nuova frontiera?
La Nuova Frontiera è nata nel 2002 con l’intento di far scoprire e riscoprire ai lettori una serie di autori di lingua spagnola e portoghese che per diversi motivi erano rimasti fuori dal canone e la cui opera non si era ancora diffusa in Italia. Intento che in gran parte è rimasto immutato tuttora.
La casa editrice è composta da Lorenzo Ribaldi (direttore editoriale), Marta Corsi (editor del catalogo junior), Gianluca Cataldo (ufficio stampa), Flavio Dionisi (grafico), Anna Krachmanlicoff (amministrazione) e me (redazione e social media).
Da dove nasce il vostro interesse per i paesi di lingua spagnola e portoghese?
Credo di poter dire che l’interesse per queste aree linguistiche deriva principalmente dai nostri studi e dalle esperienze di vita che ci hanno portato a entrare in contatto con la scena culturale di quei Paesi, a seguire le riviste letterarie, i principali dibattiti, a intercettare i fenomeni che si affacciano sulla scena, i recuperi e le riscoperte.
Chiaramente si tratta di un enorme bacino a cui attingere, ricco, variegato e mutevole: testi e autori di grandissimo fascino e pregio che però non riescono a trovare un’adeguata diffusione perché soffrono il fatto di provenire da aree linguistiche e geografiche molto meno battute dal mercato.
Penso alle parole di Susan Sontag, ad esempio, quando dice che, se avesse scritto in una lingua egemonica, Machado de Assis sarebbe uno scrittore riconosciuto a livello internazionale esattamente come lo sono Proust o Joyce. Insomma, esiste un mondo pieno di gemme nascoste e a volte uscire dal tracciato, nella nostra vita di lettori, ci porta a imbatterci in qualcosa di straordinario.
Spesso raccontate che negli anni il vostro lavoro vi ha portato a scoprire e proporre autori e autrici che si discostano molto dallo stereotipo della narrativa latinoamericana. Ci spieghi meglio cosa intendete? Qual è lo stereotipo e quale invece la realtà?
Più che di stereotipo in senso stretto parlerei forse di autori che non hanno ceduto a un’estetica esotizzante, e che non hanno prodotto opere “esportabili”, o che in qualche modo non corrispondono all’idea che il lettore europeo si è fatto di quella letteratura, di quella società, di quella ambientazione. Penso a Saer e Levrero, che sono stati sempre ai margini del cosiddetto Boom e recentemente a Luiz Ruffato, maestro nel raccontare un Brasile lontanissimo dal Paese che siamo abituati a vedere rappresentato. Ci sembra più interessante dare voce a chi in qualche modo mette in discussione la nostra idea dell’altro. Ma se è facile individuare lo stereotipo, è molto più sottile definire la realtà, perché la realtà di un’area così vasta ed eterogenea non è riducibile e riconducibile a un’etichetta, è molto più complessa e variabile.
Negli ultimi anni avete pubblicato alcune autrici che stanno avendo una grande eco, pensiamo ad esempio a Valeria Luiselli, Guadalupe Nettel e Sandra Cisneros. Credi che una nuova attenzione per le voci femminili stia contribuendo a creare un nuovo “canone” della letteratura latinoamericana?
Non so se si possa parlare di “canone”, ma è innegabile che ci sia un fermento crescente e che le voci femminili stiano rivendicando i propri spazi.
Cisneros, Luiselli e Nettel sono arrivate in momenti diversi della storia della casa editrice, ma in ognuno di questi casi la risposta dei lettori e delle lettrici nei confronti di queste autrici è stata incredibile, è andata oltre qualsiasi aspettativa. Io credo che, al di là del valore letterario delle loro opere, abbiano smosso qualcosa nel profondo e stimolato un dibattito di cui avevamo estremo bisogno.
Cisneros è stata una pioniera in questo senso, raccontando di identità e violenza sulle donne quando ancora non c’era intorno un dibattito così forte: la sua è una letteratura molto sensoriale e vitale, ma che affronta in maniera sincera questi due temi, soprattutto colti in quei momenti cruciali della vita che sono l’infanzia e l’adolescenza.
Valeria Luiselli è un’autrice su cui la casa editrice ha creduto dall’inizio, fin dall’esordio da giovanissima con Volti nella folla, e che oggi è una scrittrice consacrata a livello internazionale. Archivio dei bambini perduti, il suo ultimo romanzo, è tutto giocato sulla continua compenetrazione tra sfera personale e sfera politica, sul senso di raccontare storie e sul modo in cui le documentiamo, selezionando e aggiungendo tasselli. Ed è un romanzo che racconta in maniera straordinaria il nostro presente, permettendo un’identificazione profonda con le vicende. Mi ricordo l’effetto che mi ha fatto la prima volta che l’ho letto: in alcuni punti mi sono dovuta fermare per riprendere fiato perché la scrittura è così potente che ti travolge.
Anche nelle opere di Nettel c’è sicuramente l’intento di portare avanti istanze politiche forti, tanto più che il movimento femminista in Messico è molto attivo e presente. La sua è una cifra stilistica costruita su elementi decisamente originali, penso in particolare al parallelismo tra mondo naturale ed esseri umani e al porre l’accento sulle manie e le imperfezioni, su quella che lei ha chiamato in un’intervista “la bellezza del mostro”. Nel suo ultimo romanzo, La figlia unica, è preponderante anche il tema della cura, dell’accudimento e dei tabù che questo tema trascina con sé. Il commento più frequente che riceviamo dai lettori su questo romanzo è che la sua è una visione “non giudicante”. Evidentemente la maternità e il corpo delle donne sono sempre stati territorio di contesa: siamo bombardati da quella che sembra l’unica narrazione possibile, osservati da un unico sguardo giudicante, appunto, e se non ci corrisponde siamo noi a sentirci inadeguati. Il merito di questo libro, e di tanti altri che stanno avendo successo in questo momento storico, è quello di dare voce in maniera molto diretta a una pluralità di storie e di visioni, anche quelle inconfessabili, e di renderle legittime.
Oltre alla collana dedicata alla narrativa contemporanea e quella dedicata ai classici contemporanei, avete anche una collana più incentrata sul giornalismo, il reportage e la saggistica di attualità. Come si fa scouting di nuove voci in questo specifico caso?
Era una collana inizialmente incentrata su un genere particolare, la crónica, che ha un peso particolare nella cultura di alcuni Paesi del Centro e Sud America. Il nucleo iniziale comprendeva “testi sacri” come Operazione massacro di Rodolfo Walsh o Cronache dal continente che non c’èdi Alma Guillermoprieto, i dispacci di Diego Osorno sui narcos, i reportage del giornalista tedesco Wolfgang Bauer sull’ecatombe di morti nel Mediterraneo e i rapimenti in Nigeria.
Non credo ci siano differenze sostanziali nel modo di fare scouting, più che altro quello che è successo nel nostro caso è che la saggistica è uscita dai confini della collana e ha in qualche modo permeato il catalogo senza grosse differenziazioni.
Per “La frontiera selvaggia”, una nuova collana che abbiamo inaugurato alla fine dello scorso anno, ad esempio, volevamo un contenitore che trascendesse i generi per esplorare un tema che oggi ci riguarda più che mai da vicino: il nostro rapporto con la natura.
Per la costruzione del vostro catalogo negli ultimi anni state spaziando rispetto al limite linguistico-geografico precedente: qual è il nuovo criterio con cui selezionate i libri che possono rientrare nel vostro progetto?
Come abbiamo scritto nella biografia del nostro sito, a muoverci è una curiosità insaziabile e nel corso di quasi vent’anni era inevitabile ampliare la rotta. Ma ovviamente è un criterio di affinità di stili e temi che scavalcano i confini linguistici a guidarci e a garantire una certa uniformità al progetto.
Nelle ultime settimane, in seguito a quanto accaduto in alcuni Paesi europei con la traduzione delle poesie dell’attivista nera americana Amanda Gorman, la questione della traduzione di opere straniere è al centro di un grande dibattito. Tu che opinione ti sei fatta a riguardo? La nuova frontiera che approccio adotta nella scelta del traduttore e quanto è importante affidare un testo al professionista giusto?
Credo che il caso di Amanda Gorman sia molto specifico e che abbia a che fare solo in parte con la questione della traduzione perché si inserisce in un discorso molto più ampio sull’accessibilità dell’industria culturale, di cui la traduzione è solo uno dei tanti aspetti.
Però una volta superato il clima da tifoseria che sembra informare molte delle polemiche odierne, senza dubbio la polemica ha avuto il merito di portare alla luce un aspetto sicuramente banale, ma sul quale quasi mai ci si sofferma, e cioè che i testi non si materializzano automaticamente in un’altra lingua, ma dietro a ogni traduzione c’è un lungo lavoro di mediazione e assestamenti continui e che – come ha sottolineato Claudia Durastanti in un lungo articolo su Internazionale – ogni traduttore porta inevitabilmente con sé il suo vissuto e il suo personalissimo portato di esperienze e cultura. È tutto fuorché un processo meccanico.
Quindi è fondamentale affidare un testo al traduttore giusto, più complicato è come stabilire a priori chi sia il traduttore giusto per un testo, visto che, appunto, non è una scienza esatta, ma è sicuramente una questione di affinità, di dimestichezza con l’autore e con il testo. Spesso l’espressione che si usa è “sentirsi a proprio agio”, forse il traduttore giusto è quello che si sente a suo agio nel testo e nell’universo di un autore.
Dall’inizio del 2021 stiamo portando avanti una challenge di lettura collettiva che si chiama #nonununicastoria con l’obiettivo di far conoscere e leggere anche autori e autrici che escono un po’ dalle nostre solite aree geografiche (solitamente Italia, Regno Unito e USA). Ci consigli tre titoli del vostro catalogo che vanno in questa direzione?
I miei consigli sono: Luiz Ruffato, La tarda estate (Brasile), un romanzo che ho tradotto e a cui tengo moltissimo, una riflessione sull’incomunicabilità e la solitudine in cui una piccola cittadina dell’interno diventa microcosmo della società brasiliana; Nathalie Léger, Suite per Barbara Loden(Francia), un piccolo gioiello in cui si mescolano molti generi: memoir, romanzo, nota biografica, storia del cinema, che mi ha fatto scoprire una figura quasi dimenticata ma estremamente affascinante: l’attrice e regista Barbara Loden. Di Nathalie Léger a maggio uscirà un secondo titolo, L’abito bianco, sulla vita di Pippa Bacca, entrambi sono tradotti da Tiziana Lo Porto. Infine, Juan José Saer, L’occasione(Argentina), appena uscito in libreria, un viaggio nella pampa della seconda metà dell’Ottocento, un romanzo sorprendente e vorticoso. La traduzione è di Gina Maneri.
Marta Silvetti (Roma, 1985) redattrice e traduttrice, si occupa della comunicazione social per La Nuova Frontiera. Ha tradotto tra gli altri Afonso Cruz, Luiz Ruffato e Afonso Reis Cabral. Per la traduzione de La bambola di Kokoschka di Afonso Cruz ha ricevuto nel 2016 il premio Babel-Booksinitaly.
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Cose belle che abbiamo letto in giro
Una bella intervista a Madame, fresca di Sanremo, e un profilo di St. Vincent.
Un nuovo progetto che prova a ripensare le vostre eroine senza stereotipi. Seguitelo!
La politica di Erdogan, fatta sulla pelle delle donne.
Il film di Danijela Stajnfeld che ha acceso il dibattito su molestie e violenze sessuali in Serbia.
Vivere con la paura delle molestie è un’esperienza universale per le donne, dice Hadley Freeman.
Come verrebbero trattate le notizie di omicidi di genere se le vittime fossero uomini? Un esperimento di The Vision.
La n-word in italiano è meno grave che in inglese? Vice intervista Federico Faloppa, docente di Sociolinguistica all’Università di Reading e autore di #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole.
La storia dell’invenzione dei book-club è una storia di donne in cerca del proprio spazio.
Una fanzine edita da Edizioni Minoritarie dedicata al razzismo nel lavoro sessuale.
Come razzismo e sessismo si intrecciano e rendono complicata la vita delle donne americane di origini asiatiche.
Ancora sul gender pay gap, che non se ne parla mai abbastanza.
Period Think Tank: un centro studi femminista intersezionale che si occupa di advocacy, policy e data.
Ricordare le maestre che hanno cambiato con la pratica la scuola italiana in senso democratico.
Mercoledì 7 aprile alle 19:00 saremo ospiti del Collegio Marianum dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano per un incontro dal titolo “Eroine senza rossetto”, insieme a Marina Pierri. L’incontro è online e aperto a tutti, basta iscriversi mandando una mail a collegio.marianum@unicatt.it entro il 6/04/21.
A presto,
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