La stagione dei premi letterari volge al termine, e se guardiamo alla assegnazione dei premi internazionali più importanti possiamo trarre una conclusione banale, ma abbastanza azzeccata: finalmente è il momento della letteratura africana.
Per citare i più importanti: il Nobel è andato al tanzaniano Abdulrazak Gurnah, il Booker Prize al sudafricano Damon Galgut, il Prix Goncourt al senegalese Mohamed Mbougar Sarr (e tanti altri premi sono stati assegnati a scrittori e scrittrici dall’Africa, come racconta questo articolo di Francesca Sibani su Internazionale).
Perché parliamo di letteratura qui, alcuni si staranno chiedendo? Perché forse ricorderete che a inizio 2021 abbiamo lanciato una sfida di lettura insieme a Ludovica Lugli che aveva come obiettivo il provare a leggere più libri da più paesi del mondo possibile. L’abbiamo chiamata #nonununicastoria, dalla famosa TED di Chimamanda Ngozi Adichie, I pericoli di un’unica storia (qui la raccontavamo bene).
Ebbene, la challenge è proseguita, ne trovate traccia sul nostro profilo Instagram, e tra le tante cose su cui ci ha fatto aprire gli occhi c’era il fatto che nella nostra vita abbiamo letto pochissima letteratura proveniente dall’Africa. Abbiamo cercato di rimediare, e negli ultimi mesi siamo state facilitate anche dalla grande attenzione che sta nascendo intorno a questa tradizione letteraria.
Abbiamo deciso di parlarne con un’editrice che da sempre ha improntato il suo lavoro sul dare ascolto e fare spazio a queste voci: Isabella Ferretti di 66thand2nd. Nella newsletter di oggi potete leggere l’intervista che le abbiamo fatto, una bella riflessione su come si fanno i libri, su come si scelgono e si traducono, sul perché e sul quando pubblicare voci diverse dai contesti mainstream e sull’importanza dei premi nella creazione di una tendenza letteraria (e chiaramente, anche un bel po’ di consigli di lettura!).
Trotsky e i libri 66thand2nd. Foto di Ludovica Lugli
Di libri come vasi comunicanti
Intervista a Isabella Ferretti
Ci racconti brevemente com’è nata 66thand2nd e di cosa vi occupate?
La casa editrice è nata a seguito di un periodo di soggiorno all’estero. Io ho vissuto tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, avevo un background diverso dall’editoria, ma sono sempre stata una lettrice forte. Vivendo in questi paesi, mi sono resa conto che c’era una tradizione letteraria di due generi che non vengono proposti in maniera incisiva in Italia –la letteratura sportiva da un lato e la cosiddetta letteratura del melting pot dall’altro– e ho pensato che sarebbe stato interessante portarla qui . Abbiamo lanciato la casa editrice inizialmente con queste due collane. Nel tempo la parte sportiva si è molto arricchita, è un universo molto grande da esplorare. Poi abbiamo lanciato anche una collana dedicata ai gruppi di lettura perché negli anni la loro evoluzione è stata molto significativa; non penso tanti ai circoli formali, quanto a quelli spontanei, che sono fonte di aggregazione e scambio. In generale abbiamo un dna portato per lo scouting e la scoperta di autori e temi un po’ fuori dal contesto mainstream del nostro Paese.
Una delle collane che vi caratterizza di più è certamente Bazar, che raccoglie autori da ogni parte del mondo e che spesso sono stati sradicati dalla loro terra di origine. Com’è nato il desiderio di raccontare queste storie?
Bazar è quella fetta di libri che include le voci dal mondo, voice of the world –un mix di autrici e autori che vengono dall’Africa, dall’Asia, ma anche che sono di discendenza asiatica, afrodiscendenti, latinoamericani–; un mix secondo noi interessante perché ci mostra uno spaccato di paesi di cui conosciamo poco e ha anche il valore aggiunto di includere molti autori della diaspora. Nei paesi che hanno visto una maggior radicamento di altre popolazioni, queste persone sono parte del tessuto di quel paese. Ci tengo inoltre a sottolineare che nell’ambito di questa collana pubblichiamo più scrittrici che scrittori, e che queste hanno un gradimento maggiore rispetto ai maschi. Per quanto riguarda lo scouting che facciamo su questi titoli, sono da tenere in conto due elementi: in alcuni di questi paesi, specialmente dell’Africa e dell’Asia, non c’è un mercato editoriale tanto sviluppato come in Occidente e quindi è più difficile andare alla fonte. Ci sono pochi agenti, poche occasioni di incontro e questo limita la possibilità di acquisire diritti direttamente da questi paesi. Invece in Gran Bretagna e negli USA c’è una buona attenzione verso questi autori, perciò è più frequente acquisirli da quel mercato, soprattutto quando si parla di autori francofoni e naturalmente anglofoni.
Come costola di Bazar è nata poi B-Polar, che ha uno sguardo insolito su un genere che negli ultimi anni è diventato molto in voga in letteratura: il polar, appunto. Voi vi scostate molto dalle ambientazioni tradizionali dei paesi scandinavi o nordici, pubblicando polar che invece sono ambientati perlopiù in Africa. Che tipo di tradizione letteraria c’è intorno a questo genere in Africa?
C’è da dire che in questo momento abbiamo sospeso le pubblicazioni di B-Polar perché, essendo una piccola casa editrice, per noi è necessario concentrarci su questioni che ci appaiono più urgenti: in questo momento abbiamo fatto la scelta di campo di concentrarci su tutto ciò che riguarda più da vicino i diritti civili. A suo tempo, però, B-Polar è nata con l’idea di dimostrare al pubblico italiano che esiste la possibilità di godere di un genere che è l’intersezione tra noir e poliziesco –il polar, appunto–, che mescola gialli e crime non splatter, con uno stile piuttosto letterario, provenienti da vari paesi del mondo, anche dall’Italia. L’idea mi divertiva molto: creare un benchmark tra noi e tutto quello che c’è fuori. In generale tutta 66thand2nd è nata per cercare di creare questi vasi comunicanti. Mi sembrava interessante costruire dei gialli di ambientazione completamente differente, rispetto a quelle classiche, anche nel caso di quegli autori italiani che hanno fatto parte della collana. Lo stesso ovviamente per i polar africani. Per dirla alla Alain Mabanckou, che è un bravissimo scrittore B-Polar: «Mentre gli scrittori scandinavi nei loro gialli mettono la neve –per cui tutta la loro scrittura risente di una certa tristezza, di una certa cupezza–, noi africani riusciamo a metterci il sole».
L’hai già accennato anche prima, ma noti una differenza nella diffusione delle letteratura del melting pot all’estero rispetto all’Italia? Secondo te l’attenzione verso questa letteratura sta cambiando nel nostro Paese?
Sicuramente, in generale, non c’è paragone rispetto a qualche anno fa. Prima di tutto però, bisogna capire che a livello mondiale il mercato editoriale è un business enorme e l’Italia è una fetta molto piccola del mercato globale. Le tendenze sono altrove. Ogni paese ha i suoi scrittori e i suoi generi di riferimento (da noi per esempio fa scuola la giallistica alla Sellerio, alla Camilleri), ma in generale sulla letteratura incidono anche quelle che sono le tendenze globali. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una moltiplicazione degli autori dall’Africa o afrodiscendenti, africani della diaspora. All’inizio facevamo più fatica, poi siamo riusciti a intercettare questo tipo di autori, grazie ad alcuni che sono riusciti ad aprire uno spiraglio: per l’India penso a Jumpa Lahiri con il Pulitzer, o ad Arhundati Roy. Anche dall'Africa abbiamo avuto un incremento della proposta grazie al trionfo di Chimamanda Ngozi Adichie. Dopo quello che è successo in seguito alla morte di George Floyd il tema è diventato ineludibile. C’è molto più ascolto, le persone leggono più saggistica che narrativa, e in molti cercano di proporre al pubblico italiano delle voci che siano testimoni di tutto questo. Io personalmente in questa operazione sono molto cauta: non abbiamo mai pubblicato un libro sull’esperienza dell’immigrazione sui barconi, per esempio, perché quei libri spesso rappresentano l’ottica occidentale sulla questione. In termini tecnici potremmo parlare di white saviorism, di spettacolarizzazione della tragedia che non ne indaga i motivi. Diversamente, nel tempo quello che abbiamo cercato di fare è stato essere attenti a quello che di interessante appariva sul mercato e dare voce a quelle autrici e autori che difficilmente avrebbero trovato spazio in un piano editoriale. Per noi la soglia è quella della scrittura: con Nadeesha Uyangoda (di cui 66thand2nd nel 2021 ha pubblicato L’unica persona nera nella stanza, ndr), per esempio, abbiamo trovato una persona che poteva dare rappresentanza, che poteva essere una voce. Leggere un libro è un’esperienza emotiva e da lì arriva il valore letterario di un libro: dall’onestà, dall’autenticità e dalla profondità. Sono esperienze che difficilmente si troverebbero in autrici afroamericane perché il dialogo sulla razza in Italia è molto diverso. Non mi convincono invece i testi che vengono pubblicati per moda, adesso bisogna avere nel catalogo almeno una donna che indugia su questi temi. Anche in Italia si sta creando il fenomeno della commerciabilità della razza nera che è uno degli stereotipi più grandi. Noi proviamo a fare una selezione.
L’assegnazione del Nobel ad Abdulrazak Gurnah «per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti» va proprio nella direzione di una letteratura attenta ai temi di cui abbiamo parlato finora. Credi che avrà un’influenza sul modo in cui percepiamo e valorizziamo questo tipo di letteratura?
Credo che una cosa molto impattante nel tempo sia stato il Pulitzer di Whitehead (per La ferrovia sotterranea nel 2017 e poi per I ragazzi della Nickel nel 2020, ndr). Il Nobel è un premio che in Italia ha una grande risonanza. Gurnah verrà edito da La nave di Teseo, dove Sgarbi sta facendo un grande lavoro sui pilastri della letteratura africana, autori postcoloniali con una letterarietà importante e portante. Gli autori di solito premiati dal Nobel sono quelli che faticano di più a diventare mainstream, ma l’avere premiato questo scrittore ha sicuramente un valore simbolico, che dimostra un’intenzione molto precisa. Spero che presto vedremo premiata anche qualche donna con questo intento.
Se dovessi consigliarci un paio di libri del vostro catalogo per la challenge #nonununicastoria, quali sceglieresti?
Secondo me è fondamentale leggere Claudia Rankine, poetessa afroamericana di orgine giamaicana, molto nota in America per il modo in cui affronta il tema della razza e dei diritti civili. Ha scritto diversi libri e noi li stiamo pubblicando in Italia. Citizen è molto consigliato per chi è interessato a questi temi. Un libro che Rankine ha scritto dopo l’uccisione di Trayvon Martin, quindi che precede la morte di George Floyd e di Brianna Taylor, un caso che è stato un ciclone davvero traumatico per l’America: Martin in fondo era un ragazzino la cui colpa era quella di indossare una felpa con cappuccio. E da qui Rankine sviluppa un’importante riflessione su cosa voglia dire essere cittadini di seconda classe nel proprio paese, con una forma narrativa unica.
Vi consiglierei anche di leggere Yewande Omotoso. Un’autrice sudafricana con un approccio molto diverso da Rankine: Omotoso scrive di storie legate al suo paese, al suo continente. Noi abbiamo pubblicato La signora della porta accanto, che ha avuto una buona risonanza in Italia e che racconta cosa è stato l’apartheid in Sudafrica attraverso il rapporto tra due donne, una bianca e l’altra nera, però vicine di casa in un compound. Nonostante le loro differenze di classe e di razza, riusciranno a dialogare grazie a un evento che le accomuna, cioè la perdita dei mariti. L’anno prossimo pubblicheremo anche il suo nuovo libro.
Isabella Ferretti, dopo aver studiato giurisprudenza e dopo un soggiorno di quattro anni a Londra, si trasferisce per motivi di lavoro a New York. Proprio qui, nel cuore della Grande Mela, tra la Sessantaseiesima Strada e la Seconda Avenue nasce il progetto editoriale di 66thand2nd in collaborazione con Tommaso Cenci.
Cose belle che abbiamo letto in giro
La vera storia della foto delle ragazze afghane in minigonna.
Cinque programmi, scelti da Wired, che aiutano le donne a entrare nel mercato dei lavori digitali.
Vietare o ostacolare l’aborto significa un maggiore rischio per le donne. E cosa vuol dire interrompere una gravidanza in maniera «illegale»?
I movimenti e gli studi femministi cancellati dai libri di storia.
Tre direttrici di gallerie d’arte a confronto sul museo del futuro.
Un’autrice che amiamo molto e che torna in libreria: gli ecosistemi di Bernardine Evaristo: l’attività radicale dell’essere ragazza, donna, altro.
È uscito Eros il dolceamaro, la primissima opera di una delle maggiori poete viventi, Anne Carson.
Sta per uscire il nuovo numero della rivista de Il Post, Cose, e parla di questioni di genere.
«Volevo solo scrivere qualcosa di divertente per i miei amici»: Torrey Peters su Detransition, Baby.
Metà romana e metà palestinese, Laila Al Habash ha pubblicato il primo album, Mystic Motel, che mescola R&B, carte astrali, Raffaella Carrà e Serge Gainsbourg.
A presto,
Vuoi darci una mano?
Senza rossetto è un progetto a budget zero. Tutto il lavoro dietro al nostro podcast e a questa newsletter è volontario e non retribuito, ma è un lavoro che richiede molte forze e anche qualche soldo. Se vuoi aiutarci a sostenere le spese di produzione, incoraggiarci o anche solo offrirci una caffè puoi farlo attraverso PayPal usando la mail senzarossetto@querty.it, oppure puoi impostare una donazione ricorrente sul nostro profilo Patreon. Ogni aiuto sarà per noi prezioso, quindi grazie!
Seguici!
Il nostro sito è senzarossettopodcast.it, ma ci trovi anche su Querty.it, Facebook, Instagram e Twitter.
Se invece hai idee da proporci, suggerimenti da darci, segnalazioni da fare (anche queste, per noi, sono importanti) scrivici all'indirizzo senzarossetto@querty.it. E se questa newsletter ti è piaciuta, girala ai tuoi amici!