Oggi non potevamo che parlare di Sanremo, a modo nostro. Qui Giulia P. e, nel momento in cui scrivo questa introduzione, mi trovo proprio nella città ligure per seguire il festival per lavoro. Quella di quest’anno è un’edizione speciale: dopo anni di limitazioni, a causa della pandemia, siamo tornati a vivere la kermesse con libertà ed entusiasmo. È facile imbattersi nei Big in gara, sono tornate le feste e tanti eventi collaterali, e c’è molta gente assiepata davanti agli hotel, in attesa di poter sbirciare il proprio beniamino.
Questa febbre da Sanremo non poteva che colpire anche noi di Senza rossetto. Tra i tanti personaggi che animano il festival, abbiamo deciso di dedicare questa newsletter a una coppia di artiste che hanno fatto parte della nostra infanzia. La reunion che molti attendevano. La canzone che, immaginiamo, alcuni di voi staranno già canticchiando. Sì, stiamo proprio parlando di Paola e Chiara! E per approfondire il peso che le sorelle Iezzi hanno avuto nella cultura pop, abbiamo chiesto una mano a un amico, e soprattutto, un grande intenditore e giornalista di talento, Paolo Armelli.
Buona lettura!
Paola e Chiara vincono nella categoria Nuove proposte del Festival di Sanremo 1997
Paola & Chiara, non chiamatele bambine
di Paolo Armelli
Mi diverte sempre parecchio, quando voglio fare il brillante alle cene, uscirmene con la domanda: “Ma voi sapete chi ha diretto il video di Vamos a Bailar di Paola & Chiara?”. Nella maggior parte dei contesti il quesito sembra piuttosto assurdo, ma per certi versi ancora più surreale è la risposta: Luca Guadagnino. Il regista premio Oscar per Call Me By Your Name negli anni Duemila girava oscuri docufilm e luminosissimi videoclip (suo anche quello di Luce (Tramonti a Nord Est) di Elisa). Ma al di là dell’aneddoto, per me il fatto sottolinea qualcosa che tendiamo costantemente a sottovalutare: quanto siano state (e siano) centrali Paola & Chiara nella cultura pop italiana degli ultimi decenni.
Il duo delle sorelle milanesi Paola (la mora, 48 anni) e Chiara (la bionda, 49 anni) Iezzi si forma artisticamente nei corridoi della Sony nel 1996, dopo un paio di anni come coriste degli 883: il loro exploit arriva un anno dopo con Amici come prima e la vittoria nelle Nuove proposte del Festival di Sanremo 1997. Le due cantanti duettano l’una di fronte all’altra, sedute su due sgabelli, dando il fianco al pubblico: l’immagine pulitina, le voci perfettamente sincrone, la canzone catchy, un accento sbagliato (“è stato solo un gioco, un áffare da poco") e l’imitazione che ne fa Luciana Littizzetto a Ciro, il figlio di Target le consegnano immediatamente a una popolarità immediata e trasversale.
Ma come tutte le popstar che si rispettino, al loro debutto Paola & Chiara sono solo al grado zero delle loro metamorfosi successive: il loro primo disco, Ci chiamano bambine, in fondo contiene nel titolo una profezia al contrario, perché avremmo compiutamente ed entusiasticamente abbracciato le sorelle Iezzi solo una volta abbandonata proprio quell’innocente aria teen. Il punto di svolta arriva al cambio del millennio: Television, il loro album totem, esce nel 2000 - uno dei numerosi errori di valutazione che si fa sulla loro carriera è considerarle delle icone degli anni Novanta, nonostante siano chiaramente delle dive dei Duemila - e le tramuta in fatalone latineggianti, compiaciute e ammiccanti. È il disco di Viva el amor, Fino alla fine e appunto di Vamos a Bailar, trimurti divina ancora ballatissima nelle discoteche gay e non solo. Paola & Chiara trovano la loro “vida nueva” reinventandosi stelle dance pop, un po’ Eurovision un po’ Baleari, e raccontando l’amore con piglio indipendente e frizzantino (Vamos a Bailar, con il suo testo che fa “Ho voluto dire addio al passato, io / Eri un ombra su di me” è quanto di più vicino a Strong Enough di Cher la nostra discografia abbia mai potuto sfornare). In sostanza se ci fosse una perfetta ricetta alchemica per diventare icone queer, l’avrebbero inventata loro.
Scalano le classifiche, sfornano remix, conducono programmi su Mtv, diventano colonne portanti del Festivalbar più dell’Arena di Verona. Il disco successivo ci regala un’altra riempi-piste come Festival e, soprattutto, Kamasutra: qui le Iezzis compiono la loro trasformazione più radicale, sfoggiano costumi Dolce & Gabbana che rivaleggiano con il ReInvention Tour di Madonna, si strizzano i capezzoli e infiammano finalmente polemiche cantando un eros che non deve chiedere il permesso a nessuno (“Sì, dammi l'estasi, sono in orbita”). Riescono a inimicarsi pure il Moige, assoluta medaglia al valore. Il loro apice è appunto il 2003, poi gli album successivi contengono perle rare, difesissime dai fan più sfegatati, ma di scarso appeal per il grande pubblico. Errore tattico è poi tornare a Sanremo nel 2005 con la ballatona A modo mio, un gioiellino vocale ma che disorienta le orde di appassionati che da loro vogliono in sostanza una cosa: battere le mani tra un Gin Tonic e l’altro, dimenticandosi di quello che ti ha appena ghostato nei Dm di Instagram (che allora forse erano i trilli di Msn, ma poco cambia).
Dopo altri quattro dischi e un greatest hits, le sorelle decidono nel 2013 di chiudere il loro progetto musicale. Si parla di dissidi tra le due, gelosie, influenze della Kabbalah, partner che si mettono in mezzo: poco importa, il pubblico italiano è quasi sgomento all’idea di non vederle più insieme, e per una volta non sfruculia nel torbido, non prende le parti dell’una o dell’altra ma aspetta solo il momento in cui torneranno insieme. Bisogna attendere “solo” un decennio e l’intervento di due numi tutelari come San Max da Pezzali (che le richiama sul palco del suo ultimo tour nostalgico, la scorsa estate) e Beato Amedeo da Sanremo che fa il miracolo - la canonizzazione è in corso - richiamandole sul palco dell’Ariston e regalandoci il comeback più clamoroso della canzone italiana. E questa volta le Iezzis sanno bene quale carta da giocare: Furore è un pezzone da discoteca in puro stile Paola & Chiara, già il testo ci fa volare in pista (“Dentro ai tuoi occhi / C’è un fuoco, una strobo”) e tutto quanto, dal ritmo disco pop allo styling di Nick Cerioni, gives the gays all they want.
Nonostante le più candide speranze è difficile che le sorelle più amate d’Italia (più delle Goggi, più delle Carlucci, più delle Materassi) arrivino sul podio, loro intanto scaramanticamente però hanno piazzato la data milanese del loro mini-tour di ritorno il 14 maggio al Fabrique, proprio nella data in cui si svolge la finale dell’Eurovision, dove compete di diritto il vincitore dello stesso Sanremo. Ancora una volta la mora e la bionda, più rilevanti di qualsiasi coppia di veline, fanno cortocircuitare il nostro immaginario pop: forse sul palco di Liverpool non ci saliranno mai, ma nel frattempo lasciateci sognare.
Del resto, in un mondo buono e giusto, l’Italia starebbe loro nient’altro che stretta. C’è invece qualcosa di squisitamente nostrano nel modo in cui Paola & Chiara, prima di essere prese veramente sul serio, hanno dovuto separarsi e tornare digerite in una specie di iconografia nostalgico-cristallizzata. Eppure c’era davvero poco che le due avrebbero potuto fare di più: hanno scritto e prodotto ogni loro brano, aperto un concerto di Michael Jackson, cantato con Dionne Warwick, scalato le classifiche in mezza Europa, partecipato a una colonna sonora Disney (Ti vada o no, da Hercules), fatto una cover di Rihanna (Così non saprai mai, versione italiana di Russian Roulette), inciso una canzone in cinese (Ba Xin Fang Kai, cover cinese di A modo mio), persino lanciato un regista futuro premio Oscar.
Tornando all’opera di Guadagnino, al di là il concept forse un po’ ingenuo, ci sono alcune immagini che, riviste a distanza di oltre vent’anni, assumono un significato tutto nuovo: nel videoclip Paola e Chiara si divincolano da alcune ragnatele che vorrebbero trattenerle, e al contempo si perdono in un labirinto di specchi che non rimanda mai una loro immagine univoca. Come spiega bene Daniele Cassandro in un suo pezzo su Internazionale, Giustizia per Paola e Chiara, le due non hanno mai avuto il riconoscimento che meritavano perché in Italia sono poche le cose che non si perdonano, ma tra queste c’è di sicuro fare prodotti squisitamente pop (e un’altra, aggiungerei io, è piacere ai gay). Ma nonostante il sopracciglio alzato con cui sono sempre state osservate, mai comprese fino in fondo nell’internazionalità e nella perfezione commerciale del loro progetto, Paola & Chiara hanno continuato imperterrite per la loro strada.
Lanciate dall’Ariston come bimbe appena un po’ cresciute e decisamente angelicate, hanno sempre portato avanti una direzione artistica molto precisa, matura, consapevole, che si è intrecciata spesso con una visione cristallina di quello che loro, giovani donne nel bel mezzo di un’industria discografica ancora oggi sfiancantemente maschilista, volevano essere: libere e spensierate. Questa loro indipendenza ha fatto sì che oggi si siano trasformate in una specie di talismano pop, di icone salvifiche e nostalgiche: bastano alcune note dei loro brani più famosi per aprire in ognuno di noi un “varco di luce” che magicamente ci trasporta indietro di vent’anni, coi capelli piastrati, la vodka panna e fragola, il compito di fisica rimandato di qualche giorno e una dannata voglia di limonare. C’è chi ironizza sui loro interventi estetici, sul non arrendersi all’età, invece proprio qui si compie l’ennesimo ribaltamento paolachiaresco: la giovinezza - la loro e la nostra - l’hanno costruita sapientemente hit dopo hit e ancora oggi ce la restituiscono, distillata e remixata, con un elisir di cui non possiamo fare meno.
Paolo Armelli scrive di intrattenimento e cultura pop per testate come Wired e Vogue Italia. Dal 2020 è co-fondatore della piattaforma LGBTQ+ Quid Media e co-dirige il MiX Festival di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer di Milano. Nel 2022 è uscito il suo primo libro, L’arte di essere Raffaella Carrà (Blackie Edizioni).
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