A pronunciare la frase che dà il titolo a questa newsletter è stata Lacey-Jade Christie, attivista e fashion blogger, dopo l’ennesimo episodio di censura da parte del social network. Nella storia di Instagram è successo varie volte che una foto venisse oscurata ingiustamente, per esempio nel momento in cui si ritraeva il sangue mestruale o un corpo non conforme all’idea standardizzata di bellezza.
Come ci racconta Sara Emma Cervo, photo editor e autrice che ospitiamo oggi, ci sono alcune azioni che attiviste e artiste stanno intraprendendo per andare contro questi fenomeni di censura. Espedienti che tentano di ingannare l’algoritmo e denunciare una cultura sessista e non inclusiva che continua a giudicare il corpo delle donne.
I fatti di cronaca sconfortanti degli ultimi giorni, ci hanno mostrato come, ancora una volta, sia sempre più necessaria una rivoluzione dei costrutti patriarcali su cui si basa la nostra società, offline e online. E se da un lato, ovviamente, speriamo che la giustizia faccia il suo corso, dall’altro le esperienze di cui vi parliamo oggi ci insegnano che sì, anche postare la foto di un capezzolo femminile può fare la differenza.
Buona lettura!
Un’immagine della performance di Deborah de Robertis al Musee D’Orsay
La censura nei social
di Sara Emma Cervo
L’ultima in fatto di censura è toccata a lei: Celeste Barber. Comica attrice australiana, con oltre 7milioni di followers su Instagram, ha conquistato il pubblico di tutto il mondo con i suoi ironici post in cui fa il verso agli statuari corpi, alle mosse seducenti e glamour delle star, in nome della libertà femminile. Con il suo “trova le differenze” mette in mostra la sua “normale bellezza” diventando icona del body positive. Peccato che un suo post con il classico hashtag #celestechallengeaccept non sia stato recepito bene dall’algoritmo di Instagram: una sua fotografia, una parodia dell’ex angelo di Victoria’s Secrets Candice Swanepoel, è stata censurata perché contro le regole del social. Quel pezzo di pelle che si intravede dall’immagine è stato scambiato per nudo tout court. Eppure qualcosa non torna, a oggi lo scatto della Swanepoel è vivo e vegeto, mentre per molti follower della Barber non è stato possibile vedere il post. Secondo l’attivista e fashion blogger plus size Lacey-Jade Christie la differenza sta nel corpo postato: «Milioni di utenti Instagram si sono resi conto di una cosa, che noi delle comunità marginalizzate conosciamo da tempo: l'algoritmo di Instagram preferisce le persone magre, bianche e cisgender».
La foto censurata dal profilo di Celeste Barber
Eppure qualcosa si muove, merito della modella oversize e di colore Nyome Nicholas-Williams. A seguito di una rimozione di una sua foto dal suo profilo Instagram Curvynyome la 28enne londinese si è ribellata e con lei l’autrice dello scatto, l'artista Alexandra Cameron. La foto dello scandalo ha fatto il giro del web in breve tempo, merito (anche) dei numerosi followers che hanno accettato l’invito alla condivisione sui loro profili, trasformando il post in virale. L’hashtag #IwanttoseeNyome ha vinto, tanto che il Ceo di Instagram Adam Mosseri ha ammesso l’errore e ora -finalmente- l’algoritmo di Instagram è più inclusivo. «Questa è una grande vittoria per la comunità nera plus size. Ma è solo l'inizio, c'è ancora molto lavoro da fare. Esiste ancora un enorme squilibrio razziale nell'algoritmo, poiché i corpi bianchi vengono promossi e non devono preoccuparsi della censura dei loro post, ma i corpi neri devono ancora giustificare la presenza sulla piattaforma». Il risultato: Instagram è servito per rompere le regole di Instagram.
Il post con cui Curvynyome ha annunciato la modifica dell’algoritmo di Instagram
Escamotage in parte già sfruttato dalle artiste Arvida Byström e Molly Soda. Sul loro profilo Pics or it didn’t happen, ora non più attivo, le due ragazze avevano lanciato un appello chiedendo ad altri utenti, fra cui alcuni artisti come Petra Collins e Harley Weir, la poeta Rupi Kaur, l'artista Amalia Ulman, di inviare loro le foto rimosse da Instagram, alcune delle quali effettivamente bannate perché contro le regole del social, altre punite nonostante fossero in piena regola. Un successo: l’azione di protesta è diventata un libro edito da Prestel. La libertà di espressione, sulla carta, è salva. Merito delle lotte e degli utenti, artisti in primis.
Camila Gonzales, per citarne una, di origine costaricana e di adozione londinese, con il suo profilo The Nipple Act del 2017, mai bannato o censurato, celebra lo splendore dei seni e dei capezzoli femminili. La sua digital art ha vinto: dall’assembramento di tanti emoji nascono -o meglio rinascono- morbide forme di donna; le sue opere si basano, infatti, su fotografie ricevute da utenti di tutte le età felici di essere manipolate per apparire in una innovativa rielaborazione. Le donne possono mostrare i propri seni -e capezzoli- alla pari degli uomini.
Ma Gonzales non è stata l’unica a “fregare” l’app, sempre nello stesso anno e con un progetto simile nel concetto, è la volta di Genderless Nipples. Aperto da tre studenti aspiranti pubblicitari a New York, punta tutto sul close up. Sul profilo, infatti, sono pubblicate fotografie di capezzoli in primo piano, di donne e uomini. L’algoritmo crolla non riconoscendo il sesso di appartenenza del capezzolo rendendo le immagini intoccabili.
Un’immagine dal profilo Genderless Nipples
A non avere la stessa fortuna è il malcapitato professor Frédéric Durand, francese e insegnante d’arte. Facebook, in questo caso, decise nel 2011, senza nessun preavviso di chiudere il suo profilo. Peccato? Aver postato L’Origine del Mondo di Courbet. Opera d’arte del 1866, attualmente esposta al Museo d’Orsay, visibile, dunque, a chiunque varchi la soglia dell’istituzione parigina, senza limitazione di età, etnia e religione. Motivo scatenante: infangava le regole del social. Il quadro in questione, estremamente realistico, come vuole la mano del suo conosciuto autore, in realtà ha sempre destato scanalo e polemiche, anche in tempi in cui il world web wide era una lontanissima e impossibile visone. Ma la storia, si sa, si ripete, ma se allora le critiche arrivavano per la schiettezza e l’audacia con il quale il quadro era stato dipinto - di corpi femminili senza veli sono pieni i libri di storia dell’arte - nel 2011 l’attacco di Facebook nasce perché l’opera nascondeva qualcosa di pornografico. Fortuna vuole, merito anche di Durand, il caso non è passato sotto gamba: andando per vie legali dalla California alla Francia, il professore, benché non sia riuscito a ottenere quei 25.000 dollari richiesti per la cancellazione del suo account, ha “convinto” Facebook a rivedere le severe regole. Dal 2015, quando ancora il caso era aperto in tribunale, il social con sede a Menlo Park ha concesso ai suoi utenti la possibilità di postare nudi, purché opere d’arte.
L’epopea de L’Origine del Mondo non finisce qui, sotto accusa questa volta non il quadro ma la controversa artista lussemburghese di origini italiane Deborah de Robertis. Nota per destare scandalo con le sue performance in nome di una libertà totalmente femminile: nel 2014 sotto gli occhi di turisti e visitatori, con estrema nonchalance si sedette sotto l’opera di Courbet, alzandosi la gonna e mostrando a chiunque la sua vagina. In primis accusata dalla direzione del Museo d’Orsay di atti osceni in luogo pubblico, il suo video con la performance è stato anche censurato da Youtube. Che amarezza, l’arte talvolta svanisce mentre differenti e scadenti pubblicità girano sui social e in rete in libertà, spesso avvilendo il valore della donna. Ma questa è un’altra storia e spesso per scoprirla basta finire nella home di Facebook.
Sara Emma Cervo durante una giornata di fine agosto immersa nel suo mare sardo capisce che “da grande” avrebbe voluto diventare una photo editor. Così, dopo una laurea in Storia dell’Arte alla Sapienza di Roma, si trasferisce a Milano dove inizia a lavorare come photo editor per Cosmopolitan al quale seguono Gioia, Playboy (per cui ha scritto anche di arte e viaggi), The Collectible Dry e The Fashionable Lampoon. Nel 2011 con il suo blog Volevofaresololaphotoeditor vince i Macchianera Blog Awards. In passato ha collaborato come content editor per L’Officiel Home Italia, GQ.com e Lampoon.it. È parte del network Yourpictureditor con il quale segue diversi progetti digitali e non, ha concluso da poco la collaborazione con Vanity Fair dove lavorava come content editor e photo editor, da poco ripresa per la parte dedicata al Lifestyle. Come volontaria segue i social di Una mano per, una associazione a favore di bambini handicappati.
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