Novantatré edizioni, una sola donna vincitrice alla regia e poi arriva Chloé Zhao: dopo aver conquistato Venezia e i Golden Globes il suo Nomadland si aggiudica il premio come miglior film, come miglior regia e per la migliore attrice protagonista (Frances McDormand). E’ la prima donna asiatica a vincere il Premio Oscar per la regia, in un anno che era già di per sé un record: quest’anno in cinquina c’erano addirittura due registe, lei e Emerald Fennell per Una donna promettente (che ha vinto invece il premio per la Miglior Sceneggiatura Originale).
Nomadland, peraltro, è la storia di una donna (che lascia tutto per dedicarsi al nomadismo dopo aver perso il marito e il lavoro, ormai lo saprete) ed è ispirato all’omonimo libro-inchiesta di Jessica Bruder, nato a sua volta da un articolo pubblicato su Harper’s Magazine nel 2014. Ed è anche uno dei film più importanti che arriveranno in sala (e da oggi anche su Disney+) in Italia nel momento in cui riaprono i cinema. Insomma, forse questo 2021 ci fa sperare di poter ascoltare un po’ più di storie pensate, scritte, dirette e interpretate dalle donne? Anche in Italia? Ne parliamo con Maria Laura Ramello, ideatrice della pagina Instagram, che forse conoscerete, @lhadirettounafemmina.
Illustrazione di Valentina Merzi per Senza rossetto
L’importanza di veder vincere i buoni
di Maria Laura Ramello
Da quando ho smesso di seguire in diretta la notte degli Oscar - non ho più l’età per fare nottata tra gelati, incazzature e caramelle (gli zuccheri mi tengono sveglia) - il sonno che precede il risveglio post cerimonia è tutt’altro che placido. Mi giro, mi rigiro, faccio fatica ad addormentarmi. E poi mi sveglio nel bel mezzo della notte, per sbirciare qualche vincitore - anche se i più interessanti sono quasi al mattino - e quando finalmente è il momento d’alzarsi so già che la delusione è dietro l’angolo.
Prima di quest’ultima edizione, invece, non è stato così. Sono andata a dormire con la convinzione che Chloé Zhao non solo sarebbe stata la seconda donna a vincere il premio Oscar come miglior regista (insieme a quello come miglior film, che tutti davano per certo) ma anche che ci avrebbe regalato un discorso memorabile sulla condizione della donna nel mondo dell’intrattenimento, capace di motivare le generazioni di future registe. Ero poi certa che la mia ospitata su questa newsletter si sarebbe aperta citando proprio le sue parole.
Poi è arrivato lunedì 26. Chloé Zhao ha effettivamente vinto - EVVIVA! - ma il suo discorso mi ha lasciato perplessa. La bontà? Sei la seconda donna nella storia e la prima non bianca (è nata in Cina nel 1982) a vincere la più maschilista delle statuette e parli di bontà? In questa stagione sei stata la prima donna dopo Bigelow a vincere il BAFTA Award alla Regia, e il Director Guild Award per l’Outstanding Achievement in Motion Picture, e dedichi il premio alle persone buone? Hai già a casa un Golden Globe alla Regia, seconda donna dal 1984 (all’epoca vinse Barbra Streisand) e dici che a motivarti in tutti questi anni sono stati i buoni?
Davvero, non capivo. Dov’è il femminismo? La sete di giustizia? La rivalsa, il “ci siamo anche noi” da urlare finché non ci abbiano ascoltato proprio tutti?
Poi ho capito che il problema è il mio.
Ma facciamo un passo indietro.
Quando due anni fa - declinando la meravigliosa idea di Carolina Capria e del suo L’ha scritto una femmina - ho aperto la pagina di L’ha diretto una femmina, in cui racconto film esclusivamente diretti da registe, l’ho fatto sull’onda della rabbia per la mancata vittoria alla miglior regia di Greta Gerwig, snobbata con il suo Lady Bird. Io sono così, spesso re-agisco.
All’epoca non ce l’ho fatta più, sono andata a cercare tutte le statistiche presenti online - se vuoi dimostrare qualcosa parti sempre dai numeri - e forte delle percentuali ridicole di donne registe ho dato il via al progetto. Poi, anche se ho fatto meno post di quello che mi ero ripromessa di fare, ho assistito a un lento e inesorabile movimento in avanti.
Il 2020 è stato l’anno record per i film diretti da donne. Grazie a opere come Nomadland, Birds of Pray (Cathy Yan), Wonder Woman 1984 (Patty Jenkins) e tanti altri, ben il 16% dei 100 titoli che hanno incassato di più nel 2020 è stato diretto da una donna (nel 2019 erano stati il 12% e nel 2018 solo il 4%). E se nelle uscite in digitale la percentuale è inferiore (solo il 10%) e in calo rispetto all’anno precedente (16%), alcuni film già pronti e che hanno ritardato l’uscita causa Covid - come Black Widow di Cate Shorland, e The Eternals sempre di Zhao - ci lasciano ben sperare per gli incassi di questo 2021, in cui anche noi italiani dovremmo tornare al cinema.
Non basta, certo. Quando nel 2010 Katheryn Bigelow divenne la prima donna nella storia degli Oscar a vincere il premio alla miglior regia, Barbra Streisand la accolse sul palco al grido di “The time has come” e tutti ci saremmo aspettati una via in discesa per le registe a Hollywood. Non è andata così.
Abbiamo dovuto aspettare altri 11 anni per rivedere un’altra donna in quella posizione, e nel mentre solo Greta Gerwig nel 2019 e quest’anno Zhao e Emerald Fennell (per la prima volta abbiamo avuto due donne in cinquina) hanno raggiunto la nomination. Tre donne nominate in 11 anni. Sette in tutto nei novantatre anni di storia dell’Academy Award.
Ma perché è così importante che le donne dirigano film? E vincano premi?
Intanto perché raccontano il mondo da una nuova prospettiva. Dopo secoli di male-gaze, di storie messe in scena da un solo punto di vista, quello maschile, abbiamo bisogno di colmare una carenza culturale. Di scoprire l’altra metà del cielo, di cavalcare l’opportunità fin qui mancata di ispirare, educare, aprirsi a un nuovo punto di vista.
Poi perché - sempre numeri alla mano - più donne dietro la macchina da presa significano più donne all’interno dell’intera industria dell’audiovisivo. Uno studio del Center for the Study of Women in Television and Film della San Diego State University, ha notato che nei titoli diretti da donne le sceneggiatrici sono il 53% (mentre nei film diretti da uomini si scende all’8%); le donne al montaggio sono il 39% (nei film diretti da uomini il 18%) e le componitrici musicali sono il 13% (4% nei film di registi maschi). Alla faccia di chi continua a insistere col superato mantra secondo cui le donne sarebbero le peggiori nemiche delle donne.
È poi importante che le donne non solo dirigano i film, ma che i film da loro diretti arrivino in sala, siano selezionati ai festival e possano vincere premi. Questo perché se ne possa parlare, gli si dia visibilità e prestigio, e quindi la possibilità di incassare bene, di fare soldi, che - non viviamo mica nel mondo delle favole - sono il motore che tutto muove in quella che rimane pur sempre un’industria.
In Italia - dati del progetto DeA, Donne e Audiovisivo - solo il 9% dei film che escono al cinema è diretto da una donna. L’88% dei film a finanziamento pubblico italiano sono diretti da uomini e solo il 21% dei film prodotti da Mamma Rai ha una regista. Nessuna donna ha mai vinto un David di Donatello alla Regia e dal 1956 a oggi le donne nominate nella categoria sono appena sei (Francesca Archibugi, Cristina Comencini, Valeria Golino, Alice Rohrwacher, Susanna Nicchiarelli e Emma Dante, entrambe in gara quest’anno). Se a casa nostra le cose hanno iniziato a muoversi ora, ed è neonata Lynn - reparto editoriale della casa di produzione Groenlandia, che si occuperà di portare in sala solo opere dirette da donne - , negli Usa, lo abbiamo visto, le cose vanno un pochino meglio.
Sono anni che impera la polemica - ve la ricordare Natalie Portman e il suo “All male nominees”? - della mancata rappresentazione femminile nelle categorie più prestigiose e le cose stanno cambiando. E ad aprire la strada al cambiamento sono stati i documentari.
Non trovando spazi tra i grandi ego dei film di finzione, le registe hanno ripiegato sui doc, arrivando a essere le più brave di tutte. Lo scorso anno ben 4 dei 5 film candidati agli Oscar nella categoria Best Documentary erano diretti da donne. E così le documentariste che negli anni sono state nominate e quindi entrate di diritto a far parte dell’Academy hanno iniziato a cambiare le cose dall’interno, portando una nota di diversità e votando per una maggiore inclusione delle minoranze.
Qui torniamo al mio iniziale fastidio per il discorso di ringraziamento Chloé Zhao. Gli Oscar sono un bell’occhio di bue sotto il quale posare, capace di dare popolarità, ispirare fiducia, muovere capitali, cambiare le cose. Perché non sfruttarli per velocizzare il cambiamento?
Poi ci ho riflettuto, ho riascoltato il discorso e l’ho capito. Vedere una donna asiatica nell’America dello #StopAsianHate, che ha voluto mandare un messaggio di unità e non di divisione, mi ha commosso. Viviamo un’epoca di battaglie femministe, spesso divisive. Da una parte ci accusano di essere nazi, dall’altra di non fare davvero mai abbastanza. Il nostro “tirare per la giacchetta” la controparte spesso fa più male che bene, l’innalzamento dei toni rischia di oscurare la bontà dei temi. E allora continuiamo a essere motrici del cambiamento, sì, ma puntiamo all’unità, alla condivisione, all’empatia. Riflettiamo su quello che ci rende uguali dalla nascita: l’essere intrinsecamente buoni.
Maria Laura Ramello (Ancona, 1987). Giornalista culturale e copywriter. Instancabile collezionista Funko pop, da 15 anni non perde una puntata di Grey’s Anatomy. Femminista impegnata, ha creato la pagina Instagram @lhadirettounafemmina, in cui recensisce solo opere di registe. Trascorre le giornate tra film, serie tv e MiaDolan, la sua bellissima gatta bianca.
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