Ognuna di voi, probabilmente, ha avuto una principessa Disney preferita. Qualcuna avrà avuto un debole per una principessa guerriera, tipo Mulan, qualcun’altra per una principessa romantica, come Cenerentola o Biancaneve. Quello che è certo è che, se siete nate e cresciute come bambine, è molto difficile che il vostro immaginario non sia stato plasmato dal modello di donna che ci suggerivano fiabe e cartoni animati.
Un immaginario che nel tempo è cambiato e si è evoluto di pari passo con il tipo di donna più funzionale all’industria cinematografica e alla società dell’epoca. Ecco perché leggere le principesse e le eroine del passato oggi ci aiuta a fare luce sulle gabbie in cui per secoli abbiamo costretto (e ancora costringiamo) le donne e tutte le categorie marginalizzate. Un esercizio utile che può servire a trovare narrazioni nuove, capaci di rompere gli stereotipi con cui siamo cresciute.
È quello che ha provato a fare Giusi Marchetta, scrittrice e insegnante (con lei abbiamo parlato di scuola ed educazione nel nostro podcast Non è Senza rossetto, in esclusiva su Audible), nel suo ultimo libro Principesse. Eroine del passato, femministe di oggi (add editore) da pochi giorni in libreria.
Nella newsletter di oggi ve ne proponiamo un estratto in anteprima. Buona lettura!
L’illustrazione di copertina di Principesse. Eroine del passato, femministe di oggi di Giusi Marchetta (add editore, 2023), realizzata da Carolina Altavilla
Quando le principesse hanno salvato il capitalismo
Un estratto di Principesse. Eroine del passato, femministe di oggi
I’m wishing (I’m wishing) / For the one I love / To find me (to find me) / Today (today)
I’m hoping (I’m hoping)/ And I’m dreaming of / The nice things (the nice things) / He’ll say
Biancaneve (1)
«Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.» È, questa, la voce di Natalia Ginzburg nel Discorso sulle donne del 1948 (2). E continua dicendo: «Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi con le unghie e coi denti dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a sé stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di sé stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero».
È un passaggio che mi ha dato molto da pensare e sono sicura che mi abbia condotto in modo naturale a una serie sorprendente di rivelazioni personali sul mio posto nel mondo e su come le donne, e con loro tutte le minoranze, paghino l’aggressione continua e legittimata dal sistema con un logorio costante della propria salute mentale. L’immagine del pozzo, però, così spietata e al tempo stesso così vera, mi ha costretto a richiamare alla memoria una scena evidentemente mai del tutto cancellata dai miei ricordi: quella di una giovane e ingenua Biancaneve che canta attorno a un pozzo nel classico Disney del 1937.
Tutto, nei fotogrammi iniziali del film è pacato e pieno di grazia. Perfino l’abito rattoppato della giovanissima principessa, costretta al rango di sguattera dalla perfida invidia della matrigna, perfino gli animaletti di contorno, quelli che diventeranno nelle successive pellicole disneyane i tradizionali amici della protagonista e che in questo caso sono dolci e bianchissime colombe.
Biancaneve canta con voce celestiale appoggiata al muretto di quello che immagina un pozzo dei desideri, esprimendo una fantasia banale e fondamentale al tempo stesso: vuole essere salvata da un amore che la trovi e le dica qualcosa di bello. Nella versione italiana il doppiaggio calca la mano e la nostra Biancaneve si augura un amore «che sia tutto» per lei, che coincida con un’idea di felicità che ha più o meno le stesse misure della bocca del pozzo. Eppure l’amore arriva nella veste del principe azzurro (charming, affascinante nella versione originale) che improvvisa una serenata mielosa e ottiene in cambio un bacio per intercessione di una colomba che si incarica di fare da intermediaria da un paio di labbra all’altro.
La scena, nella sua graziosità, è potenziata dalla reazione della regina che spia con ira crescente l’interazione tra i due: se lo specchio magico le ha già insinuato il sospetto che la figliastra sia destinata a sostituirla come la più bella del reame, questo scambio realizza la profezia in maniera brutale. Per quale altro motivo infatti il principe, passando dal giardino reale, dovrebbe dedicare a una sconosciuta la più sdolcinata delle promesse d’amore? Perché quella ragazza è bellissima e non stava aspettando altro.
Il pozzo di Biancaneve, rimandandole l’eco di una voce che chiede di essere vista e amata, ribadisce che accadrà perché, pur vestita di stracci, lei ha le carte in regola per attrarre l’attenzione di un principe. Ecco, la storia che si racconterà nei minuti successivi e tutto il resto (la fuga nel bosco, i nani, perfino i crudeli tentativi della matrigna di ucciderla) può passare in secondo piano se la promessa verrà realizzata per questa ragazza e per tutte le bambine che la stanno guardando sullo schermo.
Il film, campione di incassi superato al botteghino solo da Via col vento due anni dopo, è stato una pietra miliare nella storia del cinema, ma anche un punto di svolta per un’azienda che si proponeva di raggiungere un obiettivo più che ambizioso: diventare l’unica insindacabile fabbrica dei sogni per tutti i bambini bianchi del mondo. Dopo una serie di cortometraggi che avevano lanciato sugli schermi internazionali il personaggio di Mickey Mouse, infatti, con Biancaneve e i sette nani la Disney debuttava al cinema con un lungometraggio, mettendo di fatto il futuro dell’azienda nelle mani di una principessa.
Salvati da Biancaneve
Biancaneve vede la luce in un momento in cui al botteghino sbancano le screwball comedy (3), storie romantiche in cui protagoniste belle, seducenti, sicure di sé, fanno innamorare uomini messi in difficoltà dalla sicurezza e dalla vitalità delle loro partner.
Nessuna di queste interazioni è stata traslata nella fiaba Disney, al contrario: mentre per la matrigna si è cercato un modello di donna attraente secondo i canoni del cinema contemporaneo, trovandolo nell’attrice Joan Crawford, per Biancaneve l’iniziale ispirazione è Ginger Rogers, che viene però subito accantonata per fare spazio a lineamenti più dolci e vicini all’immaginario fiabesco. Sebbene la stessa operazione abbia accompagnato anche l’animazione della matrigna, i cui tratti sono stati rubati alla statua di Uta di Ballenstedt (4) conservata nel duomo di Naumburg in Sassonia, è indubbio che le due donne incarnino due modelli diversi di bellezza. La sensualità più matura di Grimilde, così concentrata su sé stessa e sulla paura di perdere gioventù e bellezza, si scontra con la purezza della figliastra che, proprio in virtù della sua ingenuità, della sua incapacità di servirsi di questo potere, sarà percepita come più buona e più bella proprio come nella fiaba originaria.
La brutalità della versione dei Grimm viene attenuata: non si tratta di un conflitto madre-figlia, ma di matrigna e figliastra; i tentativi di uccidere Biancaneve non vengono raccontati e molto spazio viene dato ai nani, comprimari buffi e con personalità e caratteristiche riassunte da nomi che migliaia di bambini nel tempo si sono sfidati a recitare a memoria. Una volta cambiato il finale con il principe necrofilo, l’unico residuo violento, che è costato la censura in Svizzera al momento dell’uscita del film, è la rappresentazione della matrigna come strega dalla risata arcigna e crudele, così riuscita da far giudicare a tratti la pellicola un po’ troppo horror per i più piccoli.
Per decisione di Walt Disney si sono avute diverse riscritture della sceneggiatura (con più o meno spazio dato ai nani o al principe azzurro) ma in tutte il ruolo di Biancaneve resta passivo come nella fiaba tradizionale e la svolta che conclude la narrazione continua a essere il bacio che sveglia la principessa addormentata.
La più grande novità della pellicola insomma non è tanto nel contenuto quanto nel mezzo, in quella tecnica che consentiva di colorare e animare i frame senza ridisegnare ogni volta i personaggi per intero e che ha consegnato al mondo il primo lungometraggio a colori della storia.
Per la modica cifra di quasi un milione e mezzo di dollari, cosa che contribuì ad affibbiare al film l’etichetta di “follia Disney” e a costringere Walt a ipotecare la propria casa per terminare le riprese, Biancaneve ha portato al cinema la magia della fiaba tradotta in un linguaggio nuovo, tenendosi alla larga dal mondo contemporaneo, ma lanciando nel mondo contemporaneo il suo messaggio tradizionale, rassicurante e, a posteriori, anche ironico: alla fine del film infatti il principe salverà la principessa e la principessa salverà l’azienda, facendole incassare in due anni quasi otto milioni di dollari senza praticamente muovere un dito.
Note:
Desidero, / che la persona che amo / mi trovi oggi. / Spero / e sogno / le cose belle / che mi dirà.
Natalia Ginzburg, Un’assenza, a cura di Domenico Scarpa, Einaudi, 2016.
Paola Cristalli, Storia del cinema. Commedia americana in cento film, Le Mani, 2007.
Marina Minelli, Le regine e le principesse più malvagie della storia, Newton Compton editori, 2018.
Giusi Marchetta, nata a Milano nel 1982, è cresciuta a Caserta e poi si è trasferita a Napoli. Oggi vive a Torino dove è insegnante. Per Terre di Mezzo ha pubblicato le raccolte di racconti Dai un bacio a chi vuoi tu (2008), vincitore del Premio Calvino, e Napoli ore 11 (2010), per Einaudi Lettori si cresce (2015) e per Rizzoli L’iguana non vuole (2011), Dove sei stata (2018). Per add editore ha curato Tutte le ragazze avanti!
Cose belle che abbiamo letto in giro
Il 21 marzo il parlamento ugandese ha adottato una legge che prevede il carcere a vita per chi ha relazioni omosessuali e per chi si rende colpevole di “promozione” dell’omosessualità.
In Umbria gli spazi femministi sono a rischio.
È morta Lucy Salani, l’unica persona trans sopravvissuta ai campi di concentramento.
È scontro tra Pd e Lega sul disegno di legge sulle detenute madri, presentato per evitare che i bambini sotto i sei anni finiscano in carcere con il genitore.
Il nuovo rapporto sulla misoginia e il razzismo della polizia londinese.
C’è un nuovo podcast, condotto da Diego Passoni e Nicola Macchione, che ci porta alla scoperta dell’organo riproduttivo maschile. Ma c’è anche uno show che parla di libri condotto da due grandi amiche di questa newsletter, Ludovica Lugli e Giulia Pilotti.
La gestazione per altri, spiegata bene.
Storie di padri separati in Giappone, dove non esiste l’affido condiviso.
Si sta discutendo (ancora) della bravura di Meg White.
Il nuovo libro di Antonella Lattanzi, sulle cose che non si raccontano.
È sempre bello rileggere Wisława Szymborska.
Per Blackie è appena uscito un memoir di un’artista rivoluzionaria: Viv Albertine, che ha fatto parte di una delle principali band femminili punk della fine anni settanta.
Dopo aver parlato de La donna gelata di Annie Ernaux, il prossimo incontro del bookclub di Senza rossetto da Verso libri sarà a giugno sul libro di Gabriela Wiener, Sangue misto. Che si può acquistare qui.
A presto,
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