Dopo un’estate di vacanze e viaggi (ma anche lavoro, sob), eccoci di nuovo qui con la prima newsletter della stagione. Speriamo che questi mesi di lontananza siano stati per voi rilassanti e pieni di letture. Per quanto riguarda noi, un libro in particolare ci ha accompagnate in valigia negli scorsi mesi: Detransition, baby di Torrey Peters.
Il romanzo sarà protagonista del primo incontro autunnale del bookclub di Senza rossetto, previsto il 20 settembre alle 19, ovviamente da Verso libri a Milano.
Il libro di Torrey Peters era uno di quei titoli che stavamo aspettando con entusiasmo e curiosità: dopo essere diventato un caso editoriale negli Stati Uniti, è uscito a maggio in Italia grazie a Oscar Vault. Peters è stata ospite del Salone del libro di Torino e ha rilasciato anche qualche intervista.
I protagonisti di Detransition, baby sono tre: Reese, una donna trans con un grande desiderio di maternità; Ames, un uomo che prima di detransizionare stava con Reese, ma che ora ha una relazione con Katrina e sta per diventare padre; Katrina, una donna cis, capa e fidanzata di Ames, incinta, ma in dubbio se proseguire con la gravidanza o interromperla. A unire questi tre personaggi c’è una domanda pressante: è possibile diventare una famiglia non tradizionale e crescere un figlio insieme?
Detransition, baby racconta di questo, e molto altro. Il tutto con un’ironia e una leggerezza che a molti ha ricordato Sex and the City (essendo ambientato a New York e parlando di sessualità e relazioni a tutto tondo).
La lingua e le parole utilizzate da Torrey Peters sono un altro tema centrale del libro, ne abbiamo voluto parlare con chi questo testo l’ha tradotto: Chiara Reali, con la consulenza di Antonia Caruso. Reali, che oltre a tradurre è consulente editoriale (ed è da poco al lavoro su un nuovo progetto per e/o), e Caruso, attivista e autrice, ci hanno raccontato cosa succede quando un romanzo di questo tipo deve essere reso disponibile per un pubblico italiano. Quanta cura e riflessioni ci siano dietro (spoiler alert: moltissime).
Buona lettura!
Torrey Peters fotografata da Dawit N.M.
Un romanzo che ti ribalta come un calzino
Conversazione con Chiara Reali e Antonia Caruso su Detransition, baby di Torrey Peters
Senza rossetto: Chiara, ci racconti la storia editoriale di questo romanzo, come e quando è arrivato in Italia e perché proprio per i tipi di Oscar Vault?
Chiara Reali: Quando il libro è uscito negli Stati Uniti (inizio 2021, ndr) io già lo attendevo perché ne aveva parlato su Twitter McKenzie Wark, di cui avevo tradotto un libro. Ho letto le prime cinquanta pagine e ho detto «Lo so che in questo momento pubblichiamo solo fantasy, ma dobbiamo portare in Italia questo capolavoro». Vedendo quello che stava succedendo nella comunità di lettori di Oscar Vault abbiamo pensato che potesse interessare il nostro pubblico e abbiamo acquisito i diritti quasi subito, ancora prima che iniziassero le polemiche per la candidatura di Torrey Peters e del libro al Women’s Prize for Fiction.
Senza rossetto: Perché hai deciso di ricorrere alla consulenza di Antonia e come avete lavorato insieme?
Chiara Reali: Per il lavoro di traduzione, ho deciso subito che avrei voluto avere la consulenza di Antonia, che conosco da un sacco di anni. Non ero particolarmente preoccupata dal punto di vista linguistico, le parole giuste per parlare di persone queer sono state il mio lavoro per tanti anni, ma volevo avere un secondo parere perché, da un certo punto di vista il problema di questo libro non erano tanto le parole giuste, quanto quelle sbagliate. Per esempio, Torrey Peters usa spessissimo la parola transexual (transessuale), una parola oggi sconsigliata per parlare di persone trans. Il lavoro di traduzione non è semplicemente portare un testo da una lingua a un'altra, ma anche da una cultura a un'altra, per cui, parlare con Antonia e con altre persone che fanno parte della comunità trans e queer più in generale era per me fondamentale per riuscire a tradurre veramente questo testo.
Antonia Caruso: Chiara traduceva e mi esponeva i suoi dubbi su alcuni termini e insieme cercavamo una soluzione che andasse bene sia per la scorrevolezza del testo (ad esempio, molto semplicemente, evitare delle ripetizioni), sia per essere “filologicamente” corrette. Ho fatto tipo da gola profonda per certo linguaggio trans.
Certo non ho mai vissuto negli Stati Uniti ma ho frequentato i gruppi online, credo nello stesso periodo in cui li frequentava Torrey Peters, nei primi anni duemila.
Ho riconosciuto molti elementi della cultura trans di quel periodo. È una cultura molto statunitense, anche adesso, cambia sempre più velocemente. E così cambiano anche le parole, le etichette, le identità. Anche il concetto stesso di identità è cambiato, di conseguenza anche tradurre una cultura (credo che le varie identità LGBTQIA+ siano principalmente identità culturali/sociali) significa dover rendere conto del gergo.
Senza rossetto: Peters ha rivendicato in varie occasioni la distanza tra la letteratura e il ruolo che possono avere la saggistica o l’attivismo nella conoscenza delle questioni lgbtqi+, tant’è che nel suo libro utilizza spesso termini che potrebbero essere considerati “poco corretti” perché semplicemente sono quelli che lei usa nel suo contesto quotidiano, con la sua cerchia di amici. Voi cosa pensate di questa scelta?
Antonia Caruso: Questa cosa dei termini mi ha messa in difficoltà. Come diceva Chiara, Peters usa spesso “transessuale”, termine che ha tutta una storia di stigmatizzazione. Anzi che ha proprio una storia, per cui tendo, quando me lo chiedono, a consigliare di non utilizzarlo. Essendo parte di una comunità, che ha determinati codici, non è sempre facile riuscire a tenere in equilibrio un doppio registro, uno che si rivolga all’interno e uno all’esterno. Per cui una volta che Peters ha detto che l’ha usato apposta ho messo da parte l’ansia dei call out e siamo andate avanti. Credo che in questo momento ci sia una eccessiva attenzione al linguaggio e alla terminologia. Credo anche sia una risposta al trauma continuo di essere parlate e di essere oggetto di discorsi d’odio. Tra le tante strategie di risposta alla violenza, che sia verbale, fisica, istituzionale, quella nell’ambito del linguaggio è una sorta di freezing lessicale. Piuttosto che affilare le nostre armi retoriche spesso preferiamo pretendere una ortodossia terminologica. Anche perché è più forte chi ha la denuncia più facile e legali pagat* meglio. Quindi direi vaffanculo, parliamo come ci pare.
Chiara Reali: Tradurre questo libro per me è stato interessante proprio a causa della mia formazione e del mio lavoro di attivista, che è molto rivolto alla questione del linguaggio corretto. Beh, questo libro mi ha fatto mettere in discussione il mio punto di vista e la rigidità di questo tipo di approccio.
Senza rossetto: Antonia ora diceva che a un certo punto avete scoperto che Peters utilizzava il termine transessuale consapevolmente, in un’altra occasione ci avete raccontato che l’avete scoperto ascoltando una sua intervista come ospite del podcast Gender reveal. Non avete avuto modo di confrontarvi direttamente con lei durante la traduzione?
Chiara Reali: Sì, io mi sono confrontata con lei, soprattutto per quel che riguarda il personaggio di James/Amy/Ames, perché ci sono dei momenti in cui in effetti nel testo inglese non è chiaro, soprattutto quando parla Reese che chiama il personaggio Amy anche dopo che è diventato Ames. Peters è stata molto disponibile; poi ho avuto anche la possibilità di incontrarla di persona quando è venuta in Italia per il Salone del Libro di Torino. Per me è stato un incontro speciale perché sono convinta che questo sia un libro destinato a restare. Diventerà un classico.
Senza rossetto: Antonia, cosa ti ha colpito più di tutto di questo romanzo e perché lo consiglieresti?
Antonia Caruso: Detransion, baby è una storia trans adulta e in un mercato editoriale in cui le storie trans sono prevalentemente young adult, una storia adulta è quasi impossibile da trovare. Intendo una storia non autobiografica e con una trama che vada oltre all’intimo bisogno di trovare un senso alla propria vita tramite la scrittura. Negli ultimi anni c’è stata davvero un'esplosione di frociate young adult, il bisogno di storie e di rappresentazione risponde a un bisogno intimo e politico. Vedo anche un sottofondo di infantilizzazione (che nota anche Torrey Peters). Narrazioni LGBTQIA+ sì ok, ma solo se adolescenti. Sia mai che prendiamo in considerazione i bisogni delle persone dopo il liceo. La letteratura gay negli anni ha sempre avuto più spazio rispetto ad altre narrazioni, un po’ perché era comunque una scrittura fatta da uomini in scenari culturali dominati dagli uomini. Ci sono e ci sono stati molti autori gay, che sì erano sempre e unicamente autori gay, ma intanto avevano spazio anche nel mercato mainstream. Non c’è stato mai spazio per una letteratura trans che potesse essere letta da un pubblico più ampio. Forse solo Stone butch blues (che sarà ristampato da Asterisco) che è autobiografico sì, ma ha uno sguardo più ampio sul mondo, sul lavoro, sulla comunità. Per il resto c’è stato il lavoro di Porpora Marcasciano, a metà strada tra la narrazione antropologica di comunità e il saggio politico, ma senza le sterilità della scrittura accademica, è stato tradotto Preciado prima che diventasse il profeta del gender. Per il resto la letteratura trans è sempre stata letteratura ma in senso scientifico, eravamo oggetti da esaminare. Ancora adesso essere oggetti di studio non fa che permettere a persone esterne di poter fare carriera. Quindi in questo scenario, e in Italia la serialità tv ha aiutato un certo tipo di narrazione, il libro di Peters è abbastanza dirompente. Descrive una specifica comunità ma senza autocelebrarsi (cosa che io odio e me ne sto alla larga), anzi ha un cinismo di fondo che trovo rassicurante. Parla di genitorialità, di morte, di esperienze, di relazioni. Soprattutto di relazioni.
Senza rossetto: Chiara, invece per te è stato un testo difficile da tradurre?
Chiara Reali: Questo è un libro che ti prende e ti ribalta come un calzino. Tradurlo per me è stato come fare diversi anni di psicoterapia in pochi mesi. Il libro si apre con una dedica alle donne divorziate: proprio mentre lo traducevo io mi stavo separando e ho poi divorziato. Quello è stato anche il periodo in cui ho iniziato a venire a patti con la mia identità di genere. Insomma, c'erano tante cose che andavano a toccare dei miei punti scoperti e penso che possa essere così per tutte le lettrici e i lettori.
Senza rossetto: Considerando i temi trattati e anche la questione linguistica di cui abbiamo a lungo parlato, com’è stato accolto il testo dai lettori italiani?
Chiara Reali: Mio papà, classe 1951, l'ha letto e mi ha sgridata perché diceva che avrei dovuto mettere un glossario. La mia migliore difesa è che Detransition, baby è ostico anche per il lettore medio americano, perché usa termini che sono sì noti e conosciuti, ma all’interno di una comunità molto specifica. L'autrice ha fatto una scelta e io la volevo rispettare. Noi traduttori ci interroghiamo molto su questo punto, su quando e quanto sia giusto andare incontro a chi legge; se abbia senso addomesticare un testo o se sia meglio presentarlo così com’è. Io sono dell’idea che la cosa più interessante sia riuscire a stimolare la curiosità di chi legge al punto da fargli dire «Questa cosa mi incuriosisce, vado a cercarmela». Per Detransition, baby siamo ricorsi a dei lettori editoriali: tre, quattro persone della nostra community (molto diverse tra loro - c’era chi legge solo narrativa letteraria, chi legge solo fantasy…) che l’hanno letto in anteprima, e tutti l’hanno amato. Te ne innamori perché è un libro molto divertente, agile nella scrittura, molto furbo e molto intelligente, ma soprattutto molto molto toccante.
Senza rossetto: Tra i libri usciti recentemente che raccontano l’esperienza di persone trans è uscito questo ed è uscito “Nevada” di Imogen Binnie: siamo sempre negli Stati Uniti, sempre a New York. Un esempio che si discosta un po’ è invece “Le cattive” di Camila Sosa Villada… Antonia, secondo te c’è qualche testo italiano che potremmo paragonare a queste narrazioni e che consiglieresti alle persone che leggono la nostra newsletter?
Antonia Caruso: In Italia siamo in una fase in cui da una parte si cerca una legittimazione nell’ambito della cultura più o meno mainstream. La vedo come una fase di passaggio obbligatoria dove non dobbiamo fare brutta figura. Viviamo costantemente tra la tensione di essere a una cresima e quella di distruggere violentemente ogni pregiudizio e preconcetto. Più o meno è andata così: da sporchi trans viziosi che vendono impunemente del sesso nascosti tra le ombre dei tigli a povere delicate creature che serbano un grande coraggio. Nessuna delle due è interamente vera, nessuna delle due è interamente falsa. Entrambe sono funzionali a una visione settaria. Non è molto che ci è stato gentilmente concesso di poter scrivere, girare, parlare in prima persona. Alla fine il mercato risponde a dei bisogni e molte case editrici cavalcano l’onda di quello che sanno che funziona. In questo momento il femminismo, per esempio, o i funghi.Sono poche quelle che prendono un po’ di coraggio e provano a fare degli esperimenti. In questo senso Oscar Vault, grazie soprattutto a Chiara Reali (e Marco Rana), è stata in grado di portare in Italia Peters (anche fisicamente, ma lì c’è stato l’aiuto del Comitato Torino Pride). Le cattive è arrivato in Italia grazie al lavoro di Sur, che si occupa di letteratura latinoamericana. Tra poco dovrebbe uscire anche il successivo romanzo di Sosa Villada, sempre tradotto da Giulia Zavagna. In questo senso è dentro un catalogo non LGBTQIA+ ma geografico. E questo forse è l’unico modo per riuscire a far arrivare certi titoli, cioè inserirli in cataloghi più ampi. Ma questo è possibile perché sono libri scritti benissimo, che sanno usare la scrittura per andare oltre l’ego di chi scrive e trasformare il proprio vissuto in qualcosa di più universale e interessante per il resto dell’umanità e che non siano solo mezze operazioni commerciali che hanno più editing che scrittura. Per rispondere alla vostra domanda, no, non leggo pubblicazioni scritte direttamente in italiano. Non ha senso nemmeno fare una classifica di cosa è oggettivamente meritevole e fare delle gerarchie. Dal momento che sono un essere umano e non un archivio non credo di dover essere costretta a leggere e vedere qualsiasi cosa che abbia delle persone trans.
Chiara Reali è traduttrice e consulente editoriale per Zona42, per cui cura la collana 42 Nodi, e per Oscar Vault. A partire da novembre sarà publisher di un nuovo imprint per Edizioni E/O.
Antonia Caruso, autrice (LGBTQIA+ per Eris edizioni), scrive in giro (AUT, il manifesto, Jacobin), lavora un po' nell'editoria (armillaria, edizioni minoritarie), ogni tanto scrive fumetti, ogni tanto fa stand up, molto più spesso dorme.
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