Sotto cieli rossi di Karoline Kan (Bollati Boringhieri, 2020) è un romanzo autobiografico che racconta la vita di una ragazza cinese del 1989, nata illegalmente come secondogenita di una famiglia contadina durante la politica del figlio unico.
Quando l’abbiamo scelto come secondo libro dei tre appuntamenti del nostro bookclub Girl, so confusing in collaborazione con il Circolo dei Lettori di Torino volevamo espressamente trovare una narrazione che si allontanasse dalla letteratura che siamo abituati a leggere: bianca, occidentale, molto spesso anglosassone.
Dopo aver discusso di Intermezzo di Sally Rooney, giovedì 27 marzo parleremo di questo libro che ci ha fatto scoprire molte cose sulla Cina contemporanea e su cosa significhi crescere come donna in un paese che sta subendo cambiamenti velocissimi e radicali. Se volete partecipare, qui vi spiegavamo come.
Leggendo, abbiamo anche imparato molti termini cinesi e il loro significato, linguistico e culturale. Sotto cieli rossi è un romanzo pubblicato per la prima volta in inglese, che ha tra gli obiettivi quello di spiegare la Cina agli osservatori esterni (tanto che l’autrice nel 2019 ha vinto il premio Young China Watcher of the Year). Questa scelta ci ha incuriosite, quindi per ampliare la conversazione sul libro abbiamo pensato di interrogare la sua traduttrice italiana, Benedetta Gallo.
Nella newsletter di oggi facciamo quattro chiacchiere con lei sul lavoro di traduttrice, su certi meccanismi del mercato editoriale, su come si adatta un libro per un pubblico distante dalla lingua in cui è stato scritto e sulle sfide future della traduzione.
Buona lettura!
Una scena del film Lost in Translation di Sofia Coppola
Intervista a Benedetta Gallo, traduttrice
Ormai lavori come traduttrice da diversi anni e ti sei approcciata a molti testi diversi: qual è stato il libro più complesso che hai tradotto finora e quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato?
Faccio fatica a isolare un’unica opera, perché ogni testo ha le sue criticità specifiche. Dato che lavoro sempre a più libri contemporaneamente, mi è capitato di dovermi cimentare, nell’arco della stessa giornata, con la traduzione di una filastrocca in una lingua inventata per un romanzo fantasy e, poche ore dopo, con la descrizione di un’isterectomia praticata su cavie da laboratorio per un saggio scientifico. Posso dire, però, che il mio punto debole, nella vita come nel lavoro, è lo sport: se mentre traduco mi imbatto in una pagina in cui si racconta una partita di qualunque sport - dal tennis al baseball - vado a prepararmi una tisana perché so che sarà una giornata lunga.
Quando affronti la traduzione di un libro, come bilanci fedeltà al testo originale e adattamento per il pubblico italiano?
Credo che trovare un equilibrio tra questi due aspetti sia il compito più difficile per chi fa il mio mestiere. Tradurre significa scegliere, sempre, e ogni singola scelta è diversa dalla precedente e dalla successiva; perciò non mi baso su regole ferree. Se dovessi individuare un principio generale, tuttavia, direi che si possono applicare strategie diverse a seconda del destinatario dell’opera: se per esempio sto traducendo un testo per bambini devo tenere presente il loro limitato livello di esperienza del mondo e, in certi casi, “aiutarli” con scelte traduttive che vadano loro incontro.
Come accennavi adesso, tu traduci sia opere per bambini che per adulti: quali sono le principali differenze nel tuo approccio a questi due target?
Sebbene tra gli studiosi ci sia accordo sul fatto che, di base, i problemi di traduzione di testi per bambini sono gli stessi di quelli per adulti, è innegabile che esistano questioni che riguardano, se non esclusivamente, come minimo prevalentemente la letteratura per l’infanzia. Oltre al già citato livello di esperienza del mondo – che porta a meccanismi di adattamento del testo originale – vanno considerati altri elementi, come la presenza di intermediari (gli adulti che pubblicano, scelgono e acquistano i libri per bambini) e le tante problematiche che accomunano la traduzione di testi per l’infanzia alla traduzione di poesia (giochi fonetici, rime, giochi di parole...). In generale, io affronto la traduzione di libri per bambini con il grande entusiasmo che si prova davanti a tutte le sfide creative.
Che peso ha il traduttore o la traduttrice nel successo internazionale di un libro?
Naturalmente quella del traduttore è solo una delle tante figure della filiera editoriale che contribuiscono al successo internazionale di un’opera. Detto ciò, è innegabile che la traduzione svolga un ruolo importante, e per rendersene conto basta pensare a grandi casi editoriali come Harry Potter. Talvolta le versioni delle storie a cui siamo più affezionati sono proprio quelle che i traduttori e le traduttrici hanno inventato per noi.
Parli di traduzione anche come “invenzione”: una buona traduzione deve essere "invisibile" o si può percepire la mano di chi traduce?
Secondo me la traduzione veramente “invisibile” non esiste. Tutti i traduttori e le traduttrici sono a loro modo autori e autrici del testo a cui lavorano. Detto questo, credo sia bene ricercare il famoso equilibrio di cui parlavamo prima. Un modo per farlo, per esempio, è tentare di individuare le proprie idiosincrasie e i propri tic linguistici e cercare di tenersene alla larga, per evitare di lasciare un’impronta troppo pesante sul testo.
E quanto è importante il confronto con l’autore, se possibile, durante il processo di traduzione?
Confrontarsi con gli autori, quando possibile, non solo è importante ma anche, molto spesso, la via più rapida per risolvere dubbi e incertezze che possono nascere mentre si lavora su un testo. A me è capitato più di una volta di scrivere ad autori e autrici di romanzi che stavo traducendo, sia per chiarire punti che faticavo a comprendere, sia per esporre scelte di traduzione e chiedere il loro parere a riguardo. Devo dire che sono sempre stati scambi molto interessanti e costruttivi.
Qual è stato il tuo percorso per intraprendere questa professione? Quale consiglio che daresti a chi volesse lavorare nella traduzione letteraria?
Rispetto a tante colleghe e colleghi, il mio è stato un percorso sui generis e basato quasi interamente sulla pratica. Sono approdata alla traduzione dopo aver svolto altre mansioni all’interno delle case editrici per cui attualmente lavoro. A chi sogna di diventare traduttore consiglio sempre di ampliare i propri orizzonti e specializzarsi in lingue diverse dall’inglese e dal francese (è senz’altro vero che da queste lingue la richiesta è maggiore, ma lo stesso vale, naturalmente, per la competizione.)
Hai tradotto il libro di Kan che leggeremo per il gruppo di lettura in collaborazione con il Circolo dei Lettori di Torino. In questo caso il libro è stato scritto in inglese, ma se fosse stato scritto in cinese probabilmente sarebbe arrivato comunque a noi da una traduzione inglese. Perché succede? Le cose stanno cambiando negli ultimi anni?
Capita spesso che per tradurre libri scritti in lingue meno conosciute si passi da una “lingua ponte”, in questo caso l’inglese. Naturalmente il meccanismo comporta dei rischi: da bambini abbiamo giocato tutti al “telefono senza fili”, sappiamo benissimo cosa succede alle parole quando passano troppe volte di bocca in bocca, o, in questo caso, di penna in penna. E qui torniamo al consiglio di cui parlavo prima: il mercato editoriale si sta aprendo alle lingue cosiddette rare, ma le figure professionali in grado di occuparsene sono ancora relativamente poche.
C’è un ricordo che ti è rimasto dopo aver lavorato alla traduzione di questo libro?
Sì! Ricordo benissimo il giorno in cui Daniela Guglielmino, l’editor di Bollati Boringhieri, mi telefonò per propormi la traduzione di questo romanzo. Non avevo ancora tradotto nulla per loro e mi parve uno splendido modo per cominciare, soprattutto perché io e Karoline Kan, l’autrice, apparteniamo alla stessa generazione. Mi sentii onorata di poter essere la sua “voce” italiana.
Quanto è importante — se lo è — ritradurre i classici?
È fondamentale, così come lo è leggerli e rileggerli nelle nuove traduzioni. Io ho avuto la fortuna di lavorare, insieme a un gruppo di colleghi, alla ritraduzione di un classico della letteratura per l’infanzia, ed è stata una delle esperienze più stimolanti della mia carriera. La difficoltà, in questo casto, sta nel prendere le giuste distanze dalla traduzione che già esiste: da un lato, naturalmente, non si deve accogliere in maniera acritica le scelte di chi ci ha preceduti, ma dall’altro è altrettanto importante non cercare a tutti i costi di distinguersi, rischiando di forzare inutilmente il testo.
Negli ultimi anni la traduzione è stata costretta a porsi nuove domande: pensiamo a interrogativi di tipo identitario (il caso della poeta Amanda Gorman, che ha richiesto traduttrici afrodiscendenti come lei per le sue poesie), oppure di adeguamento dei testi a nuove sensibilità (il caso della revisione dei testi di Roald Dahl, per dirne uno). Tu come ti poni di fronte a queste sfide e quali pensi che siano le questioni da cui la traduzione non potrà prescindere in futuro?
C’è un tema da cui secondo me la traduzione già ora non può prescindere, ed è quello che riguarda le questioni di genere. Negli ultimi anni la letteratura, nel tentativo di rispondere ai cambiamenti storici, sociali e culturali in atto, sta cercando di fornire soprattutto a bambini e ragazzi nuove strade da percorrere per costruire la propria identità. Anche la pratica traduttiva, in relazione a tali aspetti, deve necessariamente evolvere e trasformarsi in un mezzo per aiutare a combattere stereotipi e pregiudizi. Abbiamo già detto che tradurre significa scegliere; la traduzione, quindi, non è mai un’azione neutrale e oggettiva ma sempre il prodotto di un soggetto dotato di una propria identità.
E per finire, c’è un autore, un’autrice o un libro che sogni di tradurre un giorno?
Certo che sì. La mia sventura è che sono tutti libri già tradotti, e anche magistralmente. Anzi, è stata proprio la traduzione che esiste già a farmi innamorare di questi romanzi. Per citarne solo due: A me le guardie! Di Terry Pratchett (traduzione di Antonella Pieretti) e Lonesome Dove di Larry McMurtry (traduzione di Margherita Emo).
Benedetta Gallo traduce saggistica e narrativa dall'inglese. Ha tradotto, tra gli altri, Holly Gramazio, Alison Espach, Samantha Shannon e TJ Klune.
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