Sta per arrivare uno dei momenti dell’anno che preferiamo: la settimana del Festival di Sanremo. Un’occasione nazionalpopolare che ci riporta a quando eravamo bambine, davanti alla tv con nostri genitori, mentre osservavamo i tanti ospiti internazionali fuori posto sul palco dell’Ariston o finivamo addormentate nelle infinite ore di trasmissione. Giulia C. è una maga del toto-Sanremo (chiedetele il suo podio e andrete sul sicuro), Giulia P., da qualche anno a questa parte, si trasferisce sulla Riviera dei Fiori per lavoro e per quella settimana è proprio lì, dove la magia accade.
Ma, nonostante la nostra passione, o forse proprio per quella, non smettiamo di guardare al Festival della canzone italiana con un occhio critico. Parliamo della rappresentazione delle donne, delle categorie marginalizzate, dello spazio e dei modi in cui vengono affrontati certi temi sensibili davanti a milioni di persone. E Sanremo è anche l’occasione per parlare di quanto (e quale) spazio abbiano le artiste nel mercato nazionale.
Il problema della parità di genere investe ogni luogo della nostra società e anche il settore musicale non ne è immune. Qualche mese fa è uscito un report di Spotify che analizzava il gender gap nella musica italiana: questo è stato il punto di partenza per l’intervista che trovate in questa newsletter. Ne abbiamo parlato con Enzo Mazza, presidente di FIMI, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana.
Buona lettura!
Illustrazione di Flavia Trifiletti per Senza rossetto
Il gender gap nella musica italiana
Intervista a Enzo Mazza
Una delle cose che saltano più immediatamente all’occhio del vostro report condotto insieme a Spotify Italia, GfK e PMI è che nelle classifiche italiane solo un artista su cinque è donna. Curiosamente, questo dato cambia con il cambiare delle generazioni: se infatti guardiamo agli under 30 la proporzione scende a una donna ogni 3,4 uomini. Cosa ci dice questo dato, a tuo parere?
Negli studi sui consumi musicali degli ultimi anni - condotti a livello nazionale e internazionale - abbiamo rilevato che le nuove generazioni di pubblico si rapportano in maniera prevalentemente neutrale in merito al genere: sono realmente interessati a ciò che l’artista trasmette, con quale linguaggio, e soprattutto se è affine ai propri valori. Da questo quadro emerge una felice deriva di disinteresse all’artista in quanto rappresentante del genere femminile o maschile, oltre che – paradossalmente – di smaccata appartenenza a un genere musicale specifico.
Come avete spiegato anche in occasione della presentazione del report durante l’ultima Milano Music Week, il più importante gap di genere nella musica non ha tanto a che fare sulla presenza delle donne in questa industria, tanto proprio con quanto le donne vengono ascoltate e la loro opera presa in considerazione dal pubblico. Quanto e come il fattore culturale incide su questo divario?
Si tratta senz’altro di un fattore culturale: le donne hanno avuto storicamente meno spazio pubblico da occupare, semplicemente per una questione d’accesso negato, che si è riversato nella minore possibilità di orientarsi verso una carriera come autorevole artista musicale. A questo fenomeno si è poi associato un percorso peculiare di alcuni generi musicali come l’hip-hop che, prevalendo a livello commerciale su altri considerati di nicchia, nel tempo si sono connotati maggiormente sul fronte maschile, scoraggiando la presenza femminile.
Altra cosa che emerge dal vostro report è il fatto che ci sono dei momenti dell’anno che incidono positivamente sugli ascolti delle artiste donne: da febbraio ad aprile e poi a dicembre. Momenti che coincidono spesso anche con grandi eventi musicali. Cosa si sta facendo in questi ambienti e in questi grandi eventi per dare maggior risalto alle artiste donne?
A incidere da un lato è il risvolto del repertorio pop in ascesa che è più presente, ad esempio, in istituzioni della musica italiana come il Festival di Sanremo; dall’altra si registra una massiccia presenza anche nei dischi di Natale – il ‘momento caldo’ del mercato discografico, che corrisponde a un’importante fetta del fatturato annuale. Sul fronte pop italiano e internazionale si sta in ogni caso lavorando per una componente femminile più elevata, oltre che all’estensione di questa presenza anche su ulteriori generi ugualmente mainstream.
C’è anche un’età media più alta delle artiste italiane in classifica rispetto a quelle internazionali. Questo è il riflesso di un’industria musicale in cui le donne fanno più fatica ad avere accesso (e quindi arrivano al successo più tardi) rispetto ad altri paesi, o è dovuto a qualche altro fenomeno?
In generale abbiamo rilevato che, nell’era dove il pop italiano era il genere più forte, si è registrata la crescita di una maggiore quota di artiste italiane. Di recente, invece, con l’avvento dell’urban le donne hanno fatto più fatica a essere protagoniste in questo repertorio e, pertanto, le uniche artiste attive appartengono necessariamente a quella generazione più adulta affermatasi prima dell’ondata hip-hop/rap. Ma come emerge dal report, si sta lentamente costruendo un riequilibrio con cui questo assetto verrà rivoluzionato integralmente.
Dal report emergono anche dei trend positivi che ci fanno ben sperare per il futuro musicale delle artiste? Potresti illustrarceli? Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi anni?
Senza esagerazioni, la chiave di volta è affidata alle nuove generazioni: il pubblico più giovane è programmaticamente gender neutral e questo rende possibile agli artisti di emergere indipendentemente dal genere. È lo stesso percorso che sta avvenendo con le artiste della nuova generazione, che ora si avventurano in repertori che erano tradizionalmente maschili, appropriandosene con un proprio linguaggio valido e legittimo: è il sicuramente il preludio di un cambiamento che sarà molto pronunciato nel futuro.
Enzo Mazza, laureato in Scienze politiche, inizia la propria attività come addetto stampa presso un importante istituto bancario. Dopo un'esperienza in agenzia di pubbliche relazioni diventa responsabile per l'Italia di BSA, Business Software Alliance, l'associazione mondiale dei produttori di software. Nel 1996 viene nominato Segretario Generale di FPM, la Federazione contro la Pirateria Musicale; dal 1998 al 2013 ha ricoperto rispettivamente i ruoli di Direttore Generale prima e di Presidente poi, ed oggi è CEO di FIMI, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana. Presiede inoltre il Comitato Proprietà Intellettuale della Camera di Commercio Americana in Italia e nel 2010 è diventato Presidente di SCF, società leader nella gestione del diritto connesso.
Cose belle che abbiamo letto in giro
Con il 2021 è finita anche la nostra challenge di lettura #nonununicastoria, che per 12 mesi ci ha portato in cerca di storie provenienti da letterature di paesi non convenzionali e normalmente fuori dai nostri radar: abbiamo finalmente raccolto tutti i libri letti (e di cui abbiamo parlato su Instagram nelle nostre dirette mensili) da noi Giulie e dalla nostra compagna d’avventure Ludovica Lugli. Li trovate qui.
Per restare in tema con il contenuto di questa newsletter, invece, vi segnaliamo l’imminente uscita di questo libro, una ricerca sul gender gap nell’industria musicale italiana a partire da molte interviste a professionisti del settore.
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