L’estate è quel momento dell’anno in cui, anche se ormai i tempi delle vacanze lunghe tre mesi sono lontani, ci illudiamo di avere più tempo per approcciarci ai classici che affollano i nostri comodini.
Anche quest’anno siamo cadute nel tranello, ecco perché abbiamo deciso di proporre come lettura per il nostro bookclub in collaborazione con Verso Libri e Ludovica Lugli un bel mattone di quasi cinquecento pagine: Le bostoniane di Henry James.
Apparso per la prima volta a puntate su The Century Magazine tra il 1885 e il 1886, Le bostoniane (in alcune traduzioni proposto anche al maschile I bostoniani, o nel più neutro Gente di Boston) è un romanzo storico-drammatico che racconta le vicende di un insolito triangolo amoroso e intellettuale negli Stati Uniti di fine Ottocento. Al primo vertice c’è Olive Chancellor, abbiente donna di Boston schierata nelle fila delle femministe suffragiste; di fronte a lei, nel ruolo del rivale, il cugino Basil Ransom, avvocato conservatore del Mississippi e veterano confederato. E poi c’è l’oggetto del desiderio: Verena Tarrant, giovane e bellissima, brillante e con notevoli doti oratorie. Basil se ne innamora e vuole sposarla a ogni costo; Olive se ne invaghisce e decide di farne la sua protetta, oltre che un’adepta della lotta a favore dell’emancipazione femminile.
Con questo romanzo, che ebbe meno fortuna di altre sue opere (come, per esempio, il celebre Ritratto di signora) James ambiva a scrivere il “Grande romanzo americano”. Oltre a un’approfondita analisi psicologica dei personaggi, tipica di tutta la sua produzione, in questo romanzo infatti è importantissima anche l’analisi politica e la critica sociale: il libro si svolge all’indomani della Guerra di Secessione e affronta le differenze tra gli Stati del Nord e quelli del Sud degli USA, la diversa concezione della donna, le battaglie per i diritti civili e per l’emancipazione dei neri, pur mettendo in luce il provincialismo, il cinismo e il materialismo di certi ambienti progressisti.
Forse non tutti sanno che è proprio da questo romanzo che ha origine l’espressione “matrimonio bostoniano”, usato per descrivere le convivenze (diffuse soprattutto negli ambienti intellettuali del mondo anglosassone del XIX secolo) tra donne desiderose di emanciparsi economicamente e socialmente dagli uomini. La stessa Alice, sorella di James e scrittrice, era unita in un matrimonio bostoniano con l’educatrice Katharine Peabody Loring. Una forma di emancipazione che forse in alcuni casi nascondeva anche un’unione romantica, in ogni caso un’usanza socialmente tollerata in un mondo che non aveva ancora criminalizzato l’omosessualità.
Nella newsletter di oggi, per gentile concessione dell’editore Feltrinelli, pubblichiamo un breve estratto del romanzo, in particolare il momento in cui Olive e Basil incontrano per la prima volta Verena.
Buona lettura!
Una scena della film del 1984 The Bostonians - I bostoniani di James Ivory
Un estratto da Le bostoniane di Henry James
Traduzione di Luigi Lunari (Feltrinelli, 2021)
La dottoressa lo aveva appena lasciato, quando Olive Chancellor si mosse verso di lui con occhi che parevano dire: “Non mi importa se voi adesso siete qui o no – io sto bene!”. Ma quello che le sue labbra dissero fu molto più garbato; gli chiese se potesse avere il piacere di presentarlo a Mrs. Farrinder. Ransom acconsentì, con un tocco della sua eleganza sudista, e subito la donna si alzò per riceverlo nel circolo che ora la attorniava. Un’occasione, per lei, di giustificare la sua reputazione di signora dai modi eleganti, e deve dirsi qui, in maniera imparziale, che essa colpì Ransom poiché possedeva una dignità nella conversazione e una padronanza di tal nobile stile che mai avrebbero potuto essere sorpassate da una figlia – una delle figlie più compite e di più antico lignaggio – della sua stessa latitudine. Era come se lei sapesse che lui non era abbastanza desideroso dei mutamenti che lei patrocinava, e volesse mostrargli che, specialmente verso un sudista che aveva morso la polvere, il suo sesso poteva ben essere magnanimo. Questa conoscenza della sua segreta eresia parve a lui che trasparisse anche dal volto delle altre signore, le cui occhiate circospette, comunque (perché non era stato ancora presentato), facevano pensare che la considerassero un peccato più che una vergogna. Egli era ben conscio di tutti quegli occhi femminili di mezza età, conscio dei riccioli, alquanto mosci, che scendevano dalle cuffiette scure, di teste protese in avanti, come per una abitudine consueta, di attesa, di ascolto, di qualcuno di non molto brillante o vivace – nessuno, in fondo, se non quella ragazza che aveva già notato, che aveva la testa sfolgorante, e che ora spiccava sul profilo dell’assemblea. Di nuovo incontrò il suo sguardo; anche lei lo stava guardando. Gli era venuto in mente che Mrs. Farrinder, davanti alla quale sua cugina poteva averlo denunciato o mal raffigurato, potesse magari sfidarlo in campo aperto, e si chiese se sarebbe riuscito a ricomporsi (era estremamente imbarazzato) in misura sufficiente a onorare una simile sfida. Se lei gli avesse gettato il guanto sulla questione della temperanza, gli sembrava che fosse suo compito raccoglierlo; perché l’idea di un’ingerenza legislativa su questo tema lo riempiva di rabbia; il sapore del liquore gli era gradito, e aveva la forte convinzione che la civiltà stessa sarebbe stata in pericolo se fosse caduta in potere di una mandria di femmine vociferanti (io mi limito a riportare le sue irate formulae) per impedire a un gentiluomo di prendersi il suo bravo bicchiere. Mrs. Farrinder gli mostrava di non nutrire l’ansia dell’insicurezza; gli chiese se non volesse offrire alla compagnia un qualche resoconto della condizione sociale e politica del Sud. Lui la pregò di scusarlo, esprimendo al tempo stesso la grande consapevolezza dell’onore fattogli con simile richiesta, mentre sorrideva dentro di sé all’idea di una sua conferenza improvvisata. Egli sorrideva anche sospettando il significato dello sguardo che Miss Chancellor gli rivolgeva: “Be’, non siete di gran valore, dopotutto!”. Parlare a quella gente a proposito del Sud – se solo avessero immaginato quanto poco ci tenesse! Egli nutriva un’appassionata tenerezza per la propria terra, e un senso di intima connessione con essa, che gli avrebbe reso impossibile entrare tanto in confidenza con una carrettata di fanatici nordisti quanto leggere ad alta voce le lettere di sua madre o della sua amante. Tacere sulla terra del Sud, non toccarla con mani volgari, lasciarla in pace con le sue ferite e le sue memorie, non cianciare sulla piazza del mercato dei suoi dispiaceri né delle sue speranze, ma aspettando, come un uomo sa aspettare, il lento processo, la giudiziosa benevolenza del tempo – questo il desiderio del cuore di Ransom, che si rendeva conto di quanto poco tutto questo potesse contribuire all’intrattenimento degli ospiti di Miss Birdseye.
“Sappiamo così poco delle donne del Sud; sono davvero senza voce,” osservò Mrs. Farrinder. “Quanto possiamo contare su di loro? In quante potrebbero confluire sotto il nostro vessillo? A me è stato raccomandato di non tenere conferenze nelle città del Sud.”
“Ah, madam, un consiglio veramente crudele… per noi!” esclamò Basil Ransom, galantemente.
“Io ho trovato un pubblico meraviglioso la primavera scorsa a St. Louis,” annunciò una fresca voce giovanile, sulle teste del gruppo raccolto – una voce che, voltandosi Basil come ogni altro, per una spiegazione, sembrava provenire dalla bella ragazza dai capelli rossi. Lei era arrossita un poco nello sforzo di fare questa dichiarazione, e ora se ne stava lì ferma sorridendo ai suoi ascoltatori.
Mrs. Farrinder piegò uno sguardo benigno su di lei, malgrado fosse, evidentemente, piuttosto sorpresa. “Oh, davvero; e qual era il tema, mia cara signorina?”
“La storia passata, la condizione presente e le prospettive future del nostro sesso.”
“Oh, be’, St. Louis… non è proprio il Sud,” disse una delle signore.
“Sono sicuro che la signorina avrebbe avuto un identico successo a Charleston o a New Orleans,” si intromise Basil Ransom.
“Be’, volevo anche andare oltre,” proseguì la ragazza, “ma non avevo amici. A St. Louis ne ho.”
“Non avete bisogno di averne dappertutto,” disse Mrs. Farrinder, con un tono che, ormai, aveva del tutto giustificato la sua reputazione. “Conosco bene la lealtà di St. Louis.”
“Be’, a questo punto, dovete lasciare che vi presenti Miss Tarrant; sta davvero morendo dalla voglia di conoscervi, Mrs. Farrinder.” Queste parole provenivano da uno dei signori, il giovanotto dai capelli bianchi, di cui la dottoressa Prance aveva parlato a Ransom dicendogli che era un famoso giornalista. Anche lui, fino a questo momento, era rimasto in disparte, ma ora si aprì un varco nell’assemblea (molte signore gli fecero largo) per presentare la figlia del medium.
Lei rideva e continuava ad arrossire – il suo rossore era del più tenue rosato; appariva molto giovane ed esile e bella, mentre Mrs. Farrinder le faceva posto vicino a lei sul divano che Olive Chancellor aveva lasciato. “Davvero desideravo conoscervi; vi ammiro così tanto; e spero tanto che parliate, stasera. È troppo bello vedervi, Mrs. Farrinder.” Così si espresse, mentre la compagnia osservava l’incontro con un’aria di rinnovata stanchezza. “Voi non sapete chi sono io, naturalmente; sono solo una ragazza che vuole ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per noi. Perché avete parlato per noi ragazze, proprio come… proprio come…” Ora esitava, guardando con occhi entusiasti il resto del gruppo, e incontrando ancora una volta lo sguardo di Basil Ransom.
“Proprio come per le vecchie donne,” disse Mrs. Farrinder affabile. “Mi sembrate molto ben in grado di parlare per conto vostro.”
“Parla davvero così bene… se solo volesse fare un piccolo intervento,” osservò il giovanotto che l’aveva presentata. “È uno stile nuovo, del tutto originale,” aggiunse. E se ne stette lì, con le braccia conserte, guardando dall’alto l’opera compiuta, l’unione delle due signore, con un sorriso; e Basil Ransom, ricordando quello che Miss Prance gli aveva detto, e illuminato grazie alla propria osservazione a New York di alcune delle fonti di cui si nutrono i giornali, fu im- mediatamente colto dalla convinzione che in tutto questo egli avrebbe tratto materia per un trafiletto.
“Mia cara bambina, se volete prendere la parola, dichiarerò aperta la seduta,” disse Mrs. Farrinder.
La ragazza la guardò con candore e fiducia straordinari. “Se solo potessi prima sentirvi un momento… solo perché creiate l’atmosfera adatta.”
“Io non creo nessuna atmosfera; c’è ben poco dell’estate di san Martino in me! Io mi occupo di fatti – fatti nudi e crudi,” replicò Mrs. Farrinder. “Mi avete mai sentita parlare? Se sì, sapete come sono sbrigativa.”
“Sentita parlare? Ho vissuto di voi! E non sapete che cos’è per me potervi incontrare! Chiedetelo a mia madre!” Fin dalla prima parola pronunciata, si era espressa con una prontezza e una sicurezza che davano quasi l’impressione di una lezione preparata in anticipo. Eppure vi era nel suo modo di fare una strana spontaneità, e un’aria di entusiasmo non artificioso, di personale purezza. Se era stata teatrale, la sua era una teatralità naturale. Alzò lo sguardo verso Mrs. Farrinder con tutta la sua emozione negli occhi sorridenti. Quella signora era stata l’oggetto di molte ovazioni; le era ben noto che il cuore collettivo del suo sesso era tutto per lei; ma, visibilmente, era anche perplessa di fronte a questo imprevisto materializzarsi di gratitudine e di spontaneità, e il suo sguardo si posò sulla ragazza non senza un certo riserbo, mentre, nel profondo del suo modo d’essere eminentemente pubblico, si chiedeva se Miss Tarrant fosse una notevolissima giovane donna o solo un’impertinente sfacciata. Finì col trovare una risposta che non la impegnava né da un lato né dall’altro; si limitò a dire: “Abbiamo bisogno dei giovani… certo che abbiamo bisogno dei giovani!”.
“Chi è quella deliziosa creatura?” Basil Ransom sentì sua cugina, con tono basso e profondo, chiedere a Matthias Pardon, il giovanotto che aveva introdotto Miss Tarrant. Basil non sapeva se Miss Chancellor lo conoscesse o se la curiosità l’avesse spinta a tanta audacia. Si trovava accanto ai due, ed ebbe il beneficio della risposta di Mr. Pardon.
“È la figlia del dottor Tarrant, il guaritore mesmerico… Miss Verena. È un’oratrice di gran classe.”
“Cosa volete dire?” chiese Olive. “Parla in pubblico?” “Oh, sì, ha fatto una bella carriera nell’Ovest. L’ho sentita la primavera scorsa a Topeka. Lo chiamano un parlare ispirato. Io non so che cosa voglia dire… so solo che è squisito, così fresco e poetico. Deve essere suo padre che lo mette in movimento. Sembra che poi passi in lei.” E Mr. Pardon si concesse un gesto che descrivesse il passaggio.
Olive Chancellor non diede altra risposta se non un lieve, impaziente sospiro; trasferì la sua attenzione sulla ragazza, che ora teneva una mano di Mrs. Farrinder tra le sue, e stava supplicandola per un piccolo preludio. “Ho bisogno di un punto di partenza… devo solo sapere dove sono,” disse. “Solo due o tre dei vostri soliti grandi pensieri.”
Basil si avvicinò a sua cugina; le fece notare che Miss Verena era molto carina. Lei si volse un istante, lo squadrò, e poi disse: “Credete?”. E un istante dopo aggiunse: “Dovete proprio odiarlo questo posto!”.
“Oh, non adesso, ci divertiremo,” rispose Ransom, di buonumore, anche se un filino brusco.
Henry James (1843–1916) è stato uno scrittore e critico letterario statunitense, naturalizzato britannico, noto per la sua prosa raffinata e l'analisi psicologica dei personaggi. Tra le sue opere più celebri si ricordano Ritratto di signora (1881), Il giro di vite (1898) e La coppa d'oro (1904).
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