Mancano pochissimi giorni agli Oscar 2022 — che verranno assegnati nella notte tra il 27 e il 28 marzo, ora italiana (quella notte in cui peraltro già dormiamo un’ora in meno, sì) — e come ogni anno non mancano pronostici e previsioni, ma anche gossip e polemiche. Nel mare di notizie, se ci concentriamo solo sulle nomination la cosa che salta all’occhio è che ancora una volta siamo molto, molto distanti dall’inclusività e dal rispetto della diversity che da anni il pubblico chiede all’Academy.
Eppure negli ultimi anni le promesse di lavorare per costruire un premio più attento alle minoranze e alla diversità sono state tante: vi ricordate, per esempio, che dal 2024 saranno introdotti degli standard da rispettare per poter concorrere come Miglior Film?
Bene, il 2024 è ormai dietro l’angolo e le cose non sembrano muoversi nella direzione giusta (se poi potevamo considerare quelle linee guida la direzione giusta).
Ne parliamo nella newsletter di oggi insieme ad Anna Maniscalco, curatrice della newsletter La cinefila della domenica, che a partire da questa 94esima edizione degli Oscar prova a fare il punto: è giusto chiedere una ventata d’aria fresca a un premio così mainstream? Dovremmo semplicemente rivolgerci altrove per trovare un cinema che soddisfi le nostre richieste di rappresentazione inclusiva? Ma le cose cambieranno mai davvero se rinunciamo a cambiare la grande industria?
Rachel Zegler in una scena di West Side Story
A che punto siamo con gli Oscar “inclusivi” del 2024?
di Anna Maniscalco
Questo gennaio, per la prima volta, i Golden Globes si sono tenuti a porte chiuse. Niente streaming, niente celebrità sul tappeto rosso: un thread di Twitter ha annunciato, uno per volta, i vincitori per ogni categoria. La decisione segue una serie di controversie che hanno investito lo scorso anno l'Hollywood Foreign Press Association, l'organizzazione di giornalisti che assegna i premi: tra le varie critiche che sono state sollevate all'HFPA, composta da appena una novantina di membri – se si pensa che l'Academy ne conta più di novemila, già si intuisce quanto sia pretestuoso il loro intento di “rappresentare l'industria cinematografica statunitense nel mondo” - c'è la mancanza di autori neri tra le loro fila. All'interno della stessa associazione alcune voci, rimaste anonime, hanno iniziato a caldeggiare una riforma, e da lì, di fatto, la sospensione della cerimonia pubblica per lavori in corso.
Il problema della rappresentazione e dell'inclusione nell'industry nasce insieme alla stessa Hollywood, ma negli ultimi anni è stato sempre più vocalizzato; ne sono un esempio l'hashtag #OscarsSoWhite, lanciato da April Reign nel 2015, e, adesso, le nuove regole che l'Academy ha introdotto tra 2020 e 2021 per stabilire i criteri di candidabilità a Miglior Film. Queste regole verranno completamente implementate entro il 2024, e richiedono che un film rispetti almeno due su quattro standard. L'annuncio dell'Academy ha fatto scalpore, ma la realtà è che questi standard sono piuttosto semplici da seguire, e già la maggior parte dei film in sala è in regola senza apparire rivoluzionaria, tutt'altro. Parliamo di avere almeno un attore o un'attrice appartenente a un diverso gruppo etnico, o altre comunità sottorappresentate – che vengono così esemplificate: LGBTQ+, persone disabili, donne – in un ruolo prominente (non è obbligatorio sia un ruolo da protagonista), o, in genere, a capo di uno dei diversi dipartimenti tra regia, fotografia, sceneggiatura, produzione, o ancora nelle varie mansioni che si possono ritrovare all'interno delle case di produzione e distribuzione, o tra i tirocinanti. Continua a essere più difficile per un film passare il test di Bechdel.
La vittoria nel 2020 del film coreano Parasite, e della regista Chloé Zhao nel 2021 sono stati senza dubbio segnali di cambiamento: ma parliamo di cambiamenti sostanziali, o è solo l'ennesimo completo luccicante che indossa l'Academy? Le nomination di quest'anno a Miglior Film includono otto film diretti da un uomo, di cui cinque da statunitensi bianchi; i quattro registi in lizza invece sono Paul Thomas Anderson, Steven Spielberg, Kenneth Branagh e Ryûsuke Hamaguchi. L'unica regista nominata è Jane Campion, che ha già vinto un Oscar nel 1994; l'unica direttrice della fotografia è Ari Wegner, proprio per il film di Campion, e vale la pena osservare che, ad oggi, il premio alla fotografia è sempre andato a degli uomini. Due film su dieci sono dei remake: West Side Story e CODA, che si rifà al francese La famiglia Bélier, ma a differenza di quest'ultimo ha impiegato attori effettivamente non udenti – portando Troy Kotsur a essere il primo attore sordo nominato come non protagonista. Al momento è dato tra i favoriti insieme a Il Potere del Cane di Campion: entrambi hanno già vinto diversi premi nel corso dell'award season. Dune di Villeneuve è invece il secondo film che viene tratto dal romanzo di Frank Herbert.
Da sempre in sospeso tra la celebrazione dell'industria statunitense e qualche timido affaccio sul mondo esterno quest'anno più che mai l'Academy sembra completemante ripiegata su se stessa; e del resto lo stesso impegno di rendere gli Oscar più inclusivi è già vanificato dalla decisione di tagliare la premiazione di otto categorie per velocizzare i tempi. La richiesta viene da ABC, la rete che ha l'esclusiva sulla trasmissione: per ridurre i tempi (normalmente dura intorno alle quattro ore) i vincitori di categorie tra cui Make-Up e Hairstyling, Production Design, i diversi Cortometraggi e il Montaggio saranno registrati prima dell'inizio della cerimonia, mentre le telecamere sono concentrate sul red carpet, e poi verranno mandate in onda, editate, durante la diretta. Era già stato fatto un tentativo del genere alcuni anni fa, poi ritrattato per le numerose proteste: anche in queste settimane, tuttavia, le associazioni di categoria hanno criticato la scarsa considerazione rivolta a dei reparti che sono fondamentali per la realizzazione del film. Inoltre, come osservava Kyle Buchanan sul New York Times all'annuncio dei nuovi standard, non è raro che a capo dei reparti di Make Up e Hairstyling, come in altre categorie più tecniche, ci siano delle donne o delle persone appartenenti agli altri gruppi che si punta a includere: questo permette a numerosi film di registi uomini etero e bianchi di superare i requisiti quasi senza sforzo, ma nel momento in cui le premiazioni di queste persone sono letteralmente differenziate dal resto della cerimonia, cosa è cambiato nei fatti?
Che si appartenga a quelle correnti di pensiero per cui i premi lasciano il tempo che trovano, e più che un omaggio al “vero” cinema siano pura pubblicità: ai vestiti, agli attori – e neanche a tutti: emblematico il caso di Rachel Zegler, che inizialmente non ha ricevuto l'invito; poi quando la notizia ha sollevato numerose proteste sui social, dal momento che anche se non è candidata è la protagonista, e West Side Story è uno dei pochi film ad avere un cast composto in gran parte da attori e attrici latinoamericane, è stata convocata come presentatrice – gli Oscar e compagnia bella secondo un pensiero ancora forte fanno l'industry. Un film con bassi guadagni che porta un premio può convincere una casa di produzione a scommettere di nuovo su chi l'ha realizzato, ed è su quel palco che a volte vengono dettati nuovi codici, non istituzionalizzati come gli standard del 2024, ma molto più di impatto. Nel 2020 Parasite ha sbancato, oggi è già assodato che un film come Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi possa essere candidato sia come Miglior Film Internazionale che come Miglior Film, eppure è passato poco tempo da quando la categoria regina era appannaggio di film di produzione statunitense o inglese. Che l'Academy abbia iniziato un discorso è un segnale: le modalità di realizzazione sono ancora troppo lente.
Dai festival in giro per il mondo arriva un materiale vasto, che presenta una libertà di esplorazione creativa che a Los Angeles ancora fatica a essere celebrata – Titane ha vinto a Cannes, ma era troppo per una realtà come quella degli Oscar. Allo stesso tempo, non è da sottovalutare come sia proprio l'esterno a essere più reattivo: per rimanere rilevanti gli Oscar non possono più permettersi di giocare solo alle proprie regole.
Anna Maniscalco (Modena, 1992) ha lavorato a vario titolo nell'editoria. È redattrice di Limina, collabora con ilLibraio.it e cura la newsletter La cinefila della domenica. Suoi racconti sono comparsi su inutile, L'Inquieto, Pastrengo, Tropismi e Nuova Téchne. Su Instagram è @annetmanis.
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