Portiamo avanti questa newsletter da ormai sei anni ed è bello ogni tanto guardarci indietro e andare a ripescare dei numeri del passato.
Oggi, come avrete capito dal titolo, parliamo di arte e, in particolare, di artiste. E chiacchierare con Greta Plaitano, storica dell’arte, ci ha fatto venire in mente due occasioni in cui avevamo toccato questo tema.
La prima è una newsletter firmata da Sofia Beltramo: era il 2018 e si parlava del rapporto tra arte e cibo. Quanto la rappresentazione degli alimenti nelle opere può dirci qualcosa anche della condizione femminile, tra simbologia e mercificazione.
La seconda è, invece, una pubblicazione del 2020. Sara Cervo, photo editor di Vanity Fair, ci aveva fatto ragionare su fotografia e censura online. Capezzoli, nudo femminile e nuovi media: come le artiste e attiviste rispondono, attraverso le loro opere, agli stimoli contemporanei.
Torniamo a parlare di questo argomento con la scusa che per Einaudi è uscito un libro davvero interessante: La storia dell’arte senza gli uomini di Katy Hessel.
Buona lettura!
La storia dell’arte senza gli uomini di Katy Hessel (Einaudi, 2023)
Una storia dell’arte diversa
Intervista a Greta Plaitano, storica dell’arte
«Nell’ottobre del 2015 sono andata a una fiera d’arte e mi sono resa conto che, tra le migliaia di opere che mi stavano di fronte, neppure una era stata realizzata da una donna. Questo ha fatto scattare una serie di domande; potevo nominare all’istante venti artiste donne? Dieci precedenti al 1950? E qualcuna precedente al 1850? La risposta era no. Dunque, guardando alla storia dell’arte, avevo adottato una prospettiva maschile? La risposta era sì.»
Si apre così La storia dell’arte senza gli uomini, testo pubblicato recentemente in Italia da Einaudi, firmato dalla storica, broadcaster e curatrice Katy Hessel, che potreste conoscere per la sua pagina Instagram @thegreatwomenartists, in cui da anni celebra il lavoro di artiste poco conosciute. Il libro, che mostra più di 300 opere di artiste dal Cinquecento ai giorni nostri, cerca di rispondere all’assenza delle donne dal mondo dell’arte. In uno studio pubblicato nel 2019 e riportato dalla stessa Hessel, per esempio, è emerso che nelle collezioni dei più importanti musei statunitensi l’87 per cento delle opere era realizzata da uomini. Così come nella collezione della National Gallery di Londra solo l’1 per cento delle opere presenti oggi appartiene a firme femminili; lo stesso museo che ha dedicato la prima mostra personale a un’artista donna (Artemisia Gentileschi) soltanto nel 2020.
Un’assenza che si riflette non solo nel mondo di chi fa l’arte, ma anche in quello di chi la studia, come ci ha raccontato Greta Plaitano, storica dell’arte con cui abbiamo commentato il lavoro di Hessel. «Il punto di partenza del lavoro di Hessel è per fortuna ormai un fatto noto: l’arte ha sempre ostracizzato le donne, tanto che ebbero accesso alle accademie di belle arti molto tardi (figuriamoci ai premi o al vero e proprio mercato artistico), come racconta bene l’autrice. Le donne sono state a lungo relegate al ruolo di dilettanti dell’arte. Anche quando finalmente poterono accedere all’accademia (in Francia e Italia parliamo dei tardi anni Ottanta dell’Ottocento), restarono soprattutto muse e modelle di artisti uomini, gabbia da cui faticarono a svincolarsi per molto tempo.» ci dice. «E questo succede anche oggi, soprattutto nelle università dove si studia la storia dell’arte, in cui le posizioni di potere sono ancora tutte ricoperte dagli uomini, nonostante la schiacciante maggioranza di donne nei percorsi di formazione».
Le cose cambiarono con l’esplodere dell’arte moderna e delle avanguardie, quando lo sguardo delle donne iniziò ad assumere un ruolo centrale nello sviluppo delle correnti artistiche dell’epoca. A tal proposito, Hessel cita la storica dell’arte Diane Radycki, secondo cui ciò che avrebbe reso veramente “moderna” l’arte sarebbe stata proprio la partecipazione senza precedenti delle donne artiste.
«Quello che penso Hessel, citando Radycki, voglia dire è di non cadere in un determinismo tecnologico. — dice Plaitano — Come molti studiosi di Media Archaeology stanno mettendo in luce negli ultimi anni, non è che la scoperta di un medium fa fare dei balzi in avanti sempre dritti; la storia dell’arte, come la storia tout court, non è lineare e si compone di moltissimi periodi frutto di una complessa stratificazione di immaginari, medium e strumenti tecnici differenti. Ma parlando di storia dell’arte non possiamo prescindere dalle vere rivoluzioni di quel momento, che sono prima di tutto industriali. L’arte diventa moderna soprattutto per l’invenzione della fotografia, che svincola l’artista dalla figurazione: questo mette in crisi la pratica e il ruolo dell’artista stesso. E questa crisi, ma anche questa grande libertà, è occasione per le donne di prendersi degli spazi prima preclusi.»
C’è un altro momento della storia in cui l’arte fatta dalle donne assume un ruolo centrale, è quello che Hessel definisce “l’epoca del femminismo”, quegli anni Settanta in cui affonda le radici anche buona parte della storiografia cui Hessel si rifà, a partire dal lavoro di Linda Nochlin. Qui Hessel sottolinea il rapporto stretto fra arte e rivendicazioni femministe, che diede vita a nuove pratiche e nuovi spazi di esplorazione, fra tutti la riflessione sul corpo e la performance art. Hessel cita anche Carla Lonzi e Carla Accardi e la fondazione di Rivolta femminile come punto di riferimento per gli inizi del femminismo europeo. «È interessante che Hessel citi Lonzi, che è stata per parte della sua vita anche critica d’arte, allieva di Longhi. Ma quando Lonzi arriva al femminismo in realtà ha totalmente rifiutato la critica d’arte: per lei quello del critico è un ruolo di traduttore, che interpreta e che quindi veicola una sua idea dell’opera, e lei questo non lo accetta.», ricorda Plaitano. «E questo diventa ancora più problematico quando l’arte diventa performance, perché a quel punto il critico non sta più assoggettando alla sua visione soltanto l’opera, ma anche lo stesso corpo dell’artista».
In più occasioni Hessel ribadisce come non esista una storia dell’arte univoca, ma che questa dipenda dalla prospettiva che adottiamo per guardarla. Il suo libro si pone quindi più come uno strumento per aprire una conversazione sul ruolo delle donne nell’arte che come un’esaustiva elencazione delle loro opere. Abbiamo dunque chiesto a Greta Plaitano se c’è qualche artista di cui ha sentito la mancanza nella trattazione di Hessel.
«Devo dire che nel libro c’è quasi tutto quello che avrei voluto vedere — ci dice —, ma secondo me manca proprio il nome di Chiara Fumai, nata a Roma nel 1978 e morta suicida nel 2017 a Bari. Un’artista molto tormentata, fondamentale nel panorama contemporaneo, non solo italiano. Fumai ha lavorato moltissimo sul corpo, è stata prima di tutto una performer. Il tema interessante di Fumai è la ripresa di storie di donne del passato: donne demoniache, spiritiste e criminali, donne protagoniste dei cosiddetti freak show dell’Ottocento, a cui lei ridava voce performando in situazioni museali molto particolari. Poi, visto che Hessel parla anche di donne che recentemente si stanno dedicando all’arte figurativa con un ritorno alla ritrattistica e al tema del corpo molto coraggioso, mi sarebbe piaciuto vedere anche il nome di Miriam Cahn, di cui è in corso una mostra proprio adesso al Palais de Tokyo a Parigi».
Ma come dice Hessel e come ci tiene a ribadire anche Plaitano dalla sua prospettiva di storica dell’arte, questa elencazione di nomi femminili deve essere solo un punto di partenza. In Italia, questo lavoro di censimento delle artiste donne è iniziato già negli anni Ottanta con la mostra L’altra metà dell’avanguardia curata da Lea Vergine; ora, quarant’anni dopo, dobbiamo iniziare a decostruire la concezione della storia dell’arte fatta di grandi nomi. «È un retaggio che ci portiamo dietro dalla fine del Settecento: l’idea dell’artista genio, inventore, della personalità singola contro il mondo. Se consideriamo il saggio di Nochlin da cui prende spunto anche Hessel, Perché non ci sono state grandi artiste?, il focus deve essere sulla parola grande. Come dice Nochlin, la condizione di svantaggio di una comunità (in quel caso lei parlava di quella femminile, ovviamente) può essere una giustificazione, ma non deve essere una posizione intellettuale. Decostruire e destrutturare i dispositivi culturali che intaccano una disciplina è giusto e necessario, ma non possiamo più limitarci a elencare le artiste donne o gli artisti neri, dobbiamo raccontare un percorso diverso e dovremmo iniziare a farlo dai testi scolastici.»
Greta Plaitano ha conseguito un Dottorato di ricerca presso l’Università degli studi di Udine in cotutela con la Sorbonne Nouvelle – Paris 3 in Storia dell’arte, Cinema e Media Audiovisivi, sostenuto da una borsa di studio di dell’Università Italo-Francese. Dal 2021 collabora con la cattedra di Storia della critica fotografica e il Patrimonio Storico dell’Accademia di belle Arti di Brera con diversi progetti inerenti alla valorizzazione dell’archivio fotografico antico. Attualmente è assegnista di ricerca in arte contemporanea all’università degli studi di Udine ed è docente di Catalogazione e gestione degli archivi e di Beni culturali e ambientali all’Accademia Albertina di Torino. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulla storia della fotografia, dell’immagine scientifica e sulle iconografie del corpo, temi ai quali ha dedicato diversi saggi, articoli e interventi a convegni nazionali e internazionali. Ha scritto per Il Tascabile, L’indiscreto, L’integrale e cura la rubrica video di storia dell’arte ‘Sembra fatto da un bambino’ per Lucy sulla cultura.
Cose belle che abbiamo letto in giro
Per approfondire ulteriormente il discorso sull’arte e approcciarsi a studi che assumono una prospettiva decoloniale, Greta Plaitano ci ha consigliato anche il lavoro di Giulia Grechi (che ha pubblicato alcuni titoli per la casa editrice Mimesis) e Anna Chiara Cimoli, in particolare la loro rivista roots§routes.
Consiglia anche la lettura di Decolonizzare il patrimonio di Maria Pia Guermandi (Castelvecchi, 2021).
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Dove trovarci nei prossimi giorni:
martedì 11 aprile alle 19 saremo alla Verso Libri di Milano per presentare il romanzo per ragazzi Il segreto del gigante, esordio di Matteo Goggia;
sabato 15 aprile alle 16 appuntamento a La Scatola Lilla, sempre a Milano, per parlare con Lorena Spampinato, autrice di Piccole cose connesse al peccato.
A presto,
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